A colpire duramente l’industria europea è stato il venir meno, da un giorno all’altro, degli idrocarburi russi a buon mercato. Per di più, questo nuovo protezionismo rallenta esportazioni e produzioni del Vecchio Continente. I prodotti cinesi, che godono di sovvenzioni statali, invadono i mercati internazionali, sempre più in concorrenza con la produzione europea.
Alla ricerca della competitività perduta
Come ha anche ricordato pochi giorni fa Mario Draghi, l’arretramento dell’Europa si spiega con il debole aumento della sua produttività a causa della minore diffusione delle nuove tecnologie. Negli Usa le tre principali aziende per ricerca e innovazione appartenevano negli anni 2000 al settore automobilistico e farmaceutico, dal 2010 al settore software e hardware e a partire dal 2020 alla tecnologia digitale. In Europa, invece, non è cambiato niente: appartengono ancora al settore automobilistico. Secondo Draghi, per rimediare si dovrebbe attuare una unione di capitali così che il risparmio europeo finanzi le giovani imprese innovative senza farle esiliare negli Stati Uniti. Il completamento del mercato unico dovrebbe facilitare l’emergere di un campione europeo competitivo a livello globale. Ciò richiede politiche coordinate e finanziate a livello europeo; il che è tutt’altro che scontato. Oggi, la maggior parte della spesa destinata a sostenere il settore industriale e l’innovazione in Europa viene fatta su base nazionale e ciò genera spechi quando lo stesso progetto viene duplicato in più Paesi, oltre a creare tensioni tra i partner europei per ottenere i finanziamenti: passare da una logica nazionale a un approccio europeo è però impossibile a causa delle grandi differenze di bilancio tra i Paesi. Quelli con un basso indebitamento non vogliono finanziare quelli considerati “lassisti”.
E le prospettive?
L’attività economica della zona euro è poco dinamica, con un aumento del PIL di appena lo 0,6% negli ultimi dodici mesi. Nel lungo termine, con l’invecchiamento della popolazione che riduce il numero dei lavoratori, l’economia dell’eurozona potrebbe stagnare a meno di un’apertura delle frontiere all’immigrazione o di significativi guadagni di produttività. Queste deboli prospettive economiche non favoriscono i mercati azionari della zona euro, che restano esclusi da tutte e tre le nostre strategie di portafoglio, anche se, all’interno dei mercati nazionali, ci sono diverse aziende interessanti. Le puoi trovare andando sul nostro selettore, a questo link.