A settembre l’inflazione negli Usa è salita più delle attese. Infatti, anche se l’indice generale dei prezzi al consumo ha rallentato dal 2,5% al 2,4% annuale, ma le attese era per un 2,3%, l’inflazione di fondo, dato più significativo, ha invece accelerato da 3,2% annuale a 3,3% (le attese erano per un dato stabile).
I dati odierni sull'inflazione Usa dimostrano che la Fed può non avere nessuna fretta nella gestione della propria politica monetaria. I dati sull'inflazione hanno mostrato un rialzo inatteso per quanto riguarda la componente di fondo, metrica più importante per la Fed rispetto all'indice generale dei prezzi, ma contemporaneamente ha fatto da contraltare il dato sui sussidi disoccupazione settimanali, che hanno conosciuto un drastico rialzo da 225.000 unità a 258.000 unità. Il dato è nettamente più elevato di quanto ci si aspettasse (231.000 unità) e se è vero che l'uragano Milton ha impattato negativamente su questo dato, è anche vero che questo rialzo non può completamente essere imputato alle sole condizioni climatiche.
C'è quindi un bilanciamento tra un dato sul mercato del lavoro che risulta essere un rischio al ribasso per l'economia, e un dato sull'inflazione che risulta essere un rischio al rialzo per l'inflazione. Questi due rischi portano a conclusioni opposte per i tassi ed è proprio questo che fa pensare che nella riunione di novembre la Banca centrale Usa proseguirà sulla strada dei tagli, ma la riduzione del costo del denaro sarà solamente dello 0,25%. Questo anche perché già nella riunione precedente, quando i tassi erano stati tagliati dello 0,5%, non tutti i membri della Fed, come si è letto nei verbali di quella riunione, erano d'accordo per un taglio dello 0,5%.