L'indice dei prezzi al consumo delle spese personali (PCE) è l'indicatore preferito da parte della Federal Reserve quando si parla di carovita ed è quindi una delle metriche più osservate per cercare di capire quali saranno le future mosse della Banca centrale americana.
I dati riguardanti ottobre parlano di un indice core, escludendo quindi energia e cibo, in crescita del 2,8% annuale, come si attendevano le attese di mercato e in leggera accelerazione dal 2,7% di settembre. Considerando anche alimentari ed energia l'indice PCE ha fatto segnare un 2,3% in termini di crescita annuale rispetto al 2,1% di settembre, ma anche in questo caso il dato è allineato alle attese.
Per quanto riguardo il dato core, il più significativo di tutti, insieme al Pil degli Stati Uniti del terzo trimestre è arrivato anche il dato dell'indice PCE core trimestrale, più significativo in quanto meno influenzato da effetti temporanei da un mese all'altro. Anche in quel caso la crescita è stata del 2,8% ed allineato alle attese.
Si può dire quindi che il carovita non scende in maniera decisa e veloce e questo rende più forte la posizione all'interno della Fed di chi sostiene un approccio cauto in fatto di tassi di interesse. Approccio cauto non significa non tagliare più i tassi di interesse, ma di soppesare di volta in volta i tassi e di non procedere automaticamente con riduzioni del costo del denaro ad ogni riunione. Può voler dire che si continuerà con i tagli dei tassi di interesse, ma intervallando un taglio ad una pausa e così via.
Dopo la pubblicazione di questi dati, però, per i mercati le probabilità di un taglio a dicembre da parte della Fed sono aumentate rispetto al giorno precedente e rispetto alla settimana precedente. Attualmente i mercati stimano il 68% di possibilità di un taglio dello 0,25% a dicembre; il giorno precedente questa probabilità era al 59% è solo la settimana precedente era al 56%.
Come mai i mercati hanno aumentato la loro convinzione in termini di probabilità di taglio dei tassi di interesse da parte dei della Fed? Un dato in linea con le attese è sempre qualcosa di positivo per i mercati, perché significa che le cose stanno andando come ci si era prospettati. Non c'è stato un aumento superiore a quanto atteso che avrebbe potuto far pensare che le pressioni inflazionistiche sono maggiori di quelle attualmente scontate. Inoltre, altre motivazioni si possono leggere all'interno dei dati del report mensile sull'indice PCE.
La ripresa dell'inflazione è infatti dovuta ai prezzi dei servizi, che riflettono un rialzo significativo delle commissioni di gestione dovute alla corsa dei prezzi delle azioni. I prezzi dei servizi core, una categoria attentamente monitorata che esclude edilizia ed energia, sono saliti dello 0,4% rispetto al mese precedente, il massimo da marzo. I costi dei beni core sono rimasti invece invariati. Dunque, le pressioni inflazionistiche permangono ma sul dato mensile ci sono state delle situazioni - come l'andamento dei mercati che hanno inciso maggiormente e che non sono un dato strutturale dell'economia. È anche vero che i dati sul reddito personale disponibile delle famiglie, corretto per l'inflazione, ad ottobre è cresciuto ad un tasso che non si vedeva dal gennaio scorso. Questo significa che i consumi potranno rimanere forti e creeranno delle pressioni sui prezzi.
Tutto questo certifica che la convergenza al 2% obiettivo della Fed non sarà un evento che avverrà a breve termine. Tutto ciò è coerente con un approccio più cauto sui tassi, ma in questi dati di ottobre non c’è neppur un messaggio inatteso che porta a pensare che i prezzi si muoveranno in una maniera diversa da quanto atteso. Ecco la motivazione del dato sulle nuove probabilità date dal mercato alla decisione della Fed di dicembre.