I verbali dell'ultima riunione della Fed hanno mostrato una situazione in cui i timori circa il futuro dell'inflazione sono aumentati. Da quanto si evince dalla lettura dei verbali, i membri del comitato decisionale della Fed sono di base favorevoli a continuare a tagliare i tassi di interesse qualora l'inflazione continuerà a mostrare un rallentamento - e dunque una convergenza verso il 2%. Questo passaggio serve a rimarcare come la Fed non abbia nulla contro una riduzione del costo del denaro, ma perché ciò avvenga devono avverarsi le condizioni necessarie, che sono appunto quelle appena indicate.
Questo ragionamento però ha anche un'altra implicazione, che è la logica conseguenza di quanto appena scritto. Se la riduzione del costo del denaro può procedere con un continuo rallentamento dell'inflazione, significa che in assenza di quest’ultimo i tassi non possono essere ridotti. I dati attuali mostrano, ed è stato anche rimarcato dalla stessa Fed, che il processo di disinflazione ha rallentato, se non addirittura si è fermato negli ultimi mesi e per questo il comitato della Fed ritiene di essere “al punto o vicino al punto in cui sarebbe opportuno rallentare il ritmo dell'allentamento della politica".
In prospettiva, i timori sull'inflazione sono aumentati e, come si dice in termine tecnico, i rischi sono al rialzo. Significa che ci sono più motivi per pensare che l'inflazione possa tornare ad aumentare piuttosto che ridursi. Tra i maggiori elementi che fanno sorgere timori circa la dinamica futura dell'inflazione Usa vi sono le politiche del nuovo presidente Trump, soprattutto quelle commerciali e sull'immigrazione. Se quest’ultime dovessero essere in linea con quanto promesso in campagna elettorale dal nuovo presidente, l'effetto sarebbe quello di aumentare le pressioni sui prezzi.