In Giappone, l'inflazione continua a salire, mettendo la banca centrale in una posizione difficile. A marzo, l'inflazione nell'area metropolitana di Tokyo – indicatore chiave della crescita dei prezzi a livello nazionale – ha raggiunto il 2,9% su base annua. Un dato significativo in un paese abituato a bassa inflazione o persino deflazione, che ora pesa sulla fiducia dei consumatori.
In teoria, la Banca del Giappone dovrebbe rispondere a questa dinamica inasprendo la politica monetaria e aumentando i tassi di riferimento, attualmente fermi allo 0,5%. Tuttavia, la situazione è tutt’altro che semplice. L’alto debito pubblico rende costoso qualsiasi aumento del costo del credito, riducendo il margine di manovra fiscale. Inoltre, una domanda interna già debole potrebbe risentire di ulteriori strette monetarie.
A complicare il quadro si aggiunge la debolezza dello yen: tassi più elevati lo rafforzerebbero, penalizzando la competitività delle esportazioni giapponesi. Il commercio estero è già sotto pressione, con l’incertezza sulle relazioni commerciali con gli Stati Uniti. Finora, Tokyo ha gestito con relativa calma le minacce di dazi da parte di Washington, anche grazie ai massicci investimenti giapponesi negli USA. Ma le ultime misure tariffarie americane colpiranno direttamente il settore automobilistico nipponico, minacciando uno dei pilastri dell'economia del paese.
In questo scenario complesso, la Banca del Giappone si trova in un dilemma: mantenere i tassi bassi per sostenere l'economia o alzarli per contrastare l'inflazione. L’incertezza domina il panorama economico, rendendo il Giappone un mercato meno attraente per gli investitori. Non investire in Giappone.