Hedging

Cosa si intende per hedging in finanza?

In ambito finanziario il termine hedging deriva dall’inglese to hedge, cioè proteggere o coprire. Si tratta di una pratica che ha come obiettivo principale la riduzione dell’esposizione al rischio connessa a una determinata posizione aperta sul mercato. In altre parole, chi possiede un certo strumento finanziario - ad esempio un’azione, un’obbligazione o una valuta - può scegliere di affiancare a quell’investimento un’altra operazione pensata per attenuare gli effetti di possibili variazioni negative del mercato.

Un strategia di hedging non punta a generare un guadagno aggiuntivo, quanto piuttosto a preservare il valore della posizione originaria da potenziali oscillazioni. In questo senso, l’hedging non è tanto una forma di investimento speculativo, quanto uno strumento di gestione del rischio. 

Il concetto si applica in vari contesti: dai mercati azionari a quelli delle materie prime, passando per i cambi valutari e i tassi di interesse. Ogni volta che un investitore percepisce una potenziale fonte di rischio collegata alla propria esposizione, può valutare l’utilizzo di coperture. 

Perché si fa?

Chi investe, anche con un approccio prudente, è sempre esposto a fattori che non può controllare. Prezzi che scendono all’improvviso, valute che si muovono in direzione opposta alle aspettative, variazioni dei tassi di interesse: tutti questi elementi possono compromettere la performance di un portafoglio

Quando si parla di hedging è centrale la nozione di posizione aperta. Essa rappresenta un’esposizione ancora non chiusa sui mercati. Fino a che un titolo non viene venduto o un contratto non giunge a scadenza, esiste sempre l’incertezza su quale sarà il suo rendimento finale. L’hedging serve appunto ad agire su queste posizioni ancora in corso, proteggendone il valore. 

I motivi principali per cui hedging si realizza sono due:

- Protezione dal rischio di mercato: un investitore che possiede azioni di una società può avere il timore che, per motivi esterni, il valore di quel titolo possa scendere improvvisamente. In queste situazioni l’hedging offre una sorta di “assicurazione”. L’investitore può decidere di affiancare alla propria posizione aperta uno strumento finanziario che si muova in senso opposto rispetto al titolo posseduto. In questo modo, se l’azione perde valore, la posizione di copertura compensa almeno in parte la perdita. 

- Stabilizzazione dei risultati attesi: alcuni operatori - come le imprese che esportano o importano beni - non sono interessati alla speculazione, ma alla stabilità. Un’azienda che vende all’estero in dollari ma redige i bilanci in euro teme che la svalutazione della valuta americana riduca i ricavi. Con una copertura valutaria, può mantenere prevedibile il flusso di cassa.

In entrambi i casi, l’obiettivo non è “fare scommesse”, bensì ridurre l’impatto di variabili esterne. L’hedging, quindi, non elimina il rischio, ma lo redistribuisce e lo rende più gestibile.

Come funziona in pratica? 

La pratica più diffusa per realizzare hedging passa attraverso i strumenti derivati. Questi contratti hanno un valore che dipende da un altro bene - detto sottostante - che può essere un’azione, un indice, una materia prima o una valuta. Tra i derivati più utilizzati rientrano: 

- Contratti future: impegni a comprare o vendere un sottostante a una data futura e a un prezzo stabilito.

- Opzioni: contratti che danno il diritto, ma non l’obbligo, di comprare o vendere un’attività a un prezzo prefissato.

- Swap: accordi per scambiare flussi di cassa futuri, spesso usati per coprire rischi di tasso o di valuta.

Questi strumenti consentono di assumere una posizione opposta a quella iniziale. Ad esempio, se un investitore detiene un portafoglio azionario che teme possa perdere valore, può acquistare un derivato che guadagni nel caso di ribassi. Così facendo, le due posizioni si compensano parzialmente.

L’efficacia di una copertura dipende dal rapporto tra il valore della posizione originale e quello della posizione di copertura. Non sempre l’obiettivo è annullare totalmente il rischio: a volte si preferisce coprire solo una parte dell’esposizione, lasciando spazio a eventuali guadagni.

Per esempio, un investitore che possiede 100 azioni di una società potrebbe decidere di coprire solo 50 di esse tramite derivati, mantenendo così una protezione parziale ma anche la possibilità di beneficiare di rialzi.

Esempi pratici

- Azioni: immaginiamo un fondo che possiede molte azioni di società tecnologiche. Se il mercato inizia a scendere, anche queste azioni potrebbero perdere valore. Per proteggersi, il fondo può comprare delle opzioni put collegate a un indice tecnologico. In pratica, queste opzioni aumentano di valore quando l’indice scende. Così, se le azioni in portafoglio perdono, il guadagno derivante dalle opzioni compensa almeno in parte la perdita. È un po’ come avere un “paracadute”: se il mercato crolla, la caduta è meno dolorosa. 

- Materie prime: pensiamo a un agricoltore che produce grano. Dopo mesi di lavoro, il raccolto è pronto per essere venduto, ma fino al momento della vendita il prezzo del grano può cambiare molto. Se il prezzo cala, il produttore rischia di guadagnare molto meno del previsto. Per evitare questa incertezza, può utilizzare i contratti future, cioè accordi che permettono di fissare oggi il prezzo di vendita del grano, anche se la consegna avverrà più avanti. In questo modo l’agricoltore sa già quale sarà il ricavo, senza paura di sorprese negative. In pratica, blocca il prezzo in anticipo per avere più stabilità. 

- Valute: un investitore europeo che possiede titoli in dollari deve tenere conto anche delle variazioni del cambio euro-dollaro. Se l’euro si rafforza troppo, i guadagni in dollari, una volta convertiti, valgono meno in euro. Per ridurre questo rischio, l’investitore può stipulare un contratto chiamato forward: un accordo che stabilisce fin da subito a quale tasso cambiare i dollari in euro in futuro. È come mettere un “lucchetto” sul tasso di cambio, in questo modo il ritorno dell'investimento dipenderà solamente dall'andamento dei titoli. 

Questi esempi mostrano come hedging si realizza nella pratica: attraverso operazioni mirate a ridurre l’incertezza, più che a generare profitti.

Hedging e strategie di investimento 

L’hedging rientra a pieno titolo nel vasto insieme delle strategie di investimento. Non è un approccio alternativo all’investimento, ma piuttosto una componente che si integra con altre decisioni di portafoglio. 

Un investitore può decidere, per esempio, come distribuire i suoi soldi tra azioni e obbligazioni. Allo stesso tempo, nei periodi in cui i mercati diventano più instabili, può scegliere di proteggere una parte delle azioni con strumenti di copertura. In questo modo, la strategia di hedging non è qualcosa a parte, ma diventa un elemento che si integra nella gestione complessiva del rischio del portafoglio. 

È importante sottolineare che ogni copertura ha un costo. Derivati e altri strumenti non sono gratuiti: acquistare un’opzione, ad esempio, richiede il pagamento di un premio. Per questo motivo l’hedging viene valutato attentamente in base al bilanciamento tra benefici e costi. 

Infine, va ricordato che non esiste una formula universale. Ogni investitore o impresa deve costruire la propria copertura in base agli obiettivi specifici, alla tolleranza al rischio e alla tipologia di fonte di rischio da cui vuole difendersi.

In ogni caso, è bene ricordare che l’hedging non è alla portata di tutti, infatti, richiede conoscenze tecniche e strumenti specifici: senza un’adeguata preparazione il rischio è che la copertura non funzioni come previsto o finisca per annullare anche i possibili guadagni.