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Data di pubblicazione  24 giugno 2013
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Settimana scorsa le Borse sono calate nuovamente, aggravando il bilancio di un mese di giugno che si preannuncia deludente (finora gli Usa han perso il 2,3%, Milano l’11,4% - in entrambi i casi la maggior parte del ribasso è di queste ultime ore). Non mi stupisce: i mercati sono stati scossi dalla notizia venuta dalla Fed per cui dal 2014 la crescita Usa sarà più forte del previsto. Avrà ritmi da Paese emergente.
Settimana scorsa le Borse sono calate nuovamente, aggravando il bilancio di un mese di giugno che si preannuncia deludente (finora gli Usa han perso il 2,3%, Milano l’11,4% - in entrambi i casi la maggior parte del ribasso è di queste ultime ore). Non mi stupisce: i mercati sono stati scossi dalla notizia venuta dalla Fed per cui dal 2014 la crescita Usa sarà più forte del previsto. Avrà ritmi da Paese emergente. Questo fatalmente provocherà la fine della pioggia di liquidità con cui finora le autorità di Washington hanno sostenuto i mercati. Tutti. La buona notizia della crescita si è rivelata un boomerang e ha così innescato il calo delle Borse. Tempi di paradosso, l’ho già detto, ma adesso sospetto altre due ragioni. La prima è che chi lavora nelle grandi banche d’affari ha deciso di portarsi a casa i guadagni fatti da inizio anno, in modo da poterli scrivere nero su bianco nei bilanci al 30 giugno e guadagnarci il sospirato bonus con cui pagarsi leggendarie vacanze estive. La seconda è che i mercati pensano che la Fed sia troppo ottimista (già in passato lo è stata) e che quindi la crescita non basterà a compensare la fine dell’età dei “soldi facili” a tasso zero in cui si vive da tempo. Sia come sia son propenso a credere che questo calo non sia ancora il principio della crisi. Stiamo parlando di un -2,3% in tre settimane, quando nei precedenti 5 mesi lo S&P 500 aveva messo su il 14,3%. Troppo poco perché si possa già parlare di crollo. Il grande crack deve ancora arrivare.