Sono due fatti apparentemente slegati, ma in realtà uno influenza l’altro. Iniziamo con la Cina. Pechino ha puntato molto sullo sviluppo immobiliare e oggi si ritrova con molte case invendute. L’eccesso di offerta di immobili porta a un calo dei prezzi del mattone, e questo calo impatta sulla ricchezza delle persone così che i consumi ristagnano e che la crescita economica ne risente. Di fronte a consumi deboli, a Pechino non resta che spingere sulle esportazioni per compensare con la crescita esterna ciò che non ottiene nei suoi confini. E fra i beni esportati ci sono le auto, con conseguenze per noi europei. Negli ultimi anni abbiamo investito poco in innovazione, col risultato che da noi la produttività cresce in modo debole e le nostre industrie perdono terreno sui mercati. La produzione di auto, il cui indotto, lo ricordiamo, ha ricadute sull’intera filiera industriale (dai tessuti dei sedili ai cuscinetti a sfera per le sospensioni, dall’elettronica al vetro del lunotto) è oggi in chiara difficoltà e l’arrivo delle auto cinesi rischia di essere la goccia che fa traboccare il vaso. Per rimediare, ora si sta pensando di mettere dazi sulle auto cinesi, in modo da spuntare le armi alla loro concorrenza. Il protezionismo viene da sempre usato proprio in questi casi, quando si vuole proteggere una industria nazionale. Ma non bisogna dimenticare che questa politica ha costi non da poco. A parte il fatto che i consumatori europei finiranno per pagare mediamente di più la loro auto, i dazi chiamano altri dazi per ritorsione, con il risultato che, dazio dopo dazio, i mercati si chiudono. L’esatto contrario di quello di cui l’economia ha bisogno per prosperare, ovvero mercati aperti e grandi commerci, non autarchia e piccoli sistemi chiusi in se stessi. Anche per questi motivi vi confermiamo il consiglio di non investire sulle Borse dell’eurozona nel loro complesso (potete acquistare, invece, singole azioni) e di mantenere gli investimenti sulla Cina (anche perché stanno imparando a scaricare agli altri i propri problemi) e, ovviamente, sugli Usa, che sono il primo mercato tecnologico mondiale. Le vite saranno pure intrecciate, ma è sempre meglio puntare su quelle che riescono a crescere di più, anche a dispetto delle altre.
Alessandro Sessa
Direttore responsabile Investi