Da qualche tempo, però, l’atmosfera è cambiata e le quotazioni delle banche hanno finalmente ripreso a rialzare la testa. Una forte spinta in questo senso è data dalla loro ritrovata solidità, riconosciuta anche dai vertici della Bce proprio all’inizio di quest’anno. Da ultimo, ma non da meno, è intervenuta la mossa di Unicredit che ha iniziato a stringere sempre di più la sua presa sulla tedesca Commerzbank, facendo partire le speculazioni sulle fusioni tra istituti bancari della zona euro. Potenzialmente le fusioni portano diversi vantaggi per gli azionisti bancari: in termini di riduzione dei costi, perché permettono di accorpare attività ed eliminare duplicati, ma anche perché offrono alle banche una forza maggiore in termini di massa critica, di presa sul mercato e di visibilità. D’altro canto, il rovescio della medaglia esiste ed è ciò che ha finora frenato queste operazioni: se gli azionisti ci guadagnano (a patto che le fusioni siano ben riuscite, fatto non scontato), va considerato l’impatto sociale, sotto forma di tagli al personale. E questo, in un momento in cui monta l’ondata di nazionalismo nei vari Paesi europei, genera resistenze da parte degli Stati e pone un freno a operazioni di questo tipo. Lo spazio di manovra per i Governi è oggi più limitato che in passato: le grandi banche di interesse europeo sono già in un mercato unico vigilato dalla Bce e andare contro queste fusioni è un po’ come cercare di contrastare il mercato unico. Vedremo come andrà nei singoli casi, ma per il momento possiamo dire già alcune cose. La prima è che la stagione delle fusioni è comunque al via. La seconda è che se le operazioni che oltrepassano i confini possono andare incontro a qualche attrito, non vediamo lo stesso rischio per quelle tra banche di un singolo Paese. Di fatto, la prospettiva di creare sinergie potrebbe sostenere i prezzi di Borsa e il settore potrebbe ritrovare le luci della ribalta che a lungo gli erano state negate.
Alessandro Sessa
Direttore responsabile Investi