Se nel 1980 il debito pubblico Usa era pari a meno di un terzo della ricchezza prodotta e, nel 2001, era poco sopra la metà, oggi viaggiamo intorno al 120%: due belle “botte”, come la crisi subprime prima e il Covid 19 dopo, hanno spinto la spesa pubblica al massimo e ora gli Usa sono sui livelli di debito che noi italiani avevamo conosciuto a metà Anni Novanta (ci sembrava allora tantissimo). E con i tagli alle tasse promessi da Trump, la crescita del debito potrebbe non essere finita. Certo, gli Usa, sempre primi sulla frontiera tecnologica, non dovrebbero avere i problemi di crescita che abbiamo noi a causa della nostra produttività stagnante, ma in generale la questione debito peserà sui rendimenti dei titoli pubblici. Come pesa, per esempio, già ora in Francia, dove il rapporto tra debito e ricchezza prodotta è oltre il 110% e dove non ci si riesce a trovare un accordo su come contenere la spesa pubblica. Più debito, infatti, vuole dire più rischio e, alla lunga, rendimenti mediamente più elevati da parte dei Titoli di Stato e, a cascata, da parte di tutti gli altri bond. È esattamente ciò che sta già succedendo già ora, complice il fatto che le Banche centrali hanno smesso di calmierare il mercato con i loro acquisti. A meno di tentativi (improbabili nei principali Paesi industrializzati) di svalutare i titoli di Stato facendone erodere il valore da una inflazione galoppante, questa situazione contribuirà a mantenere interessante l’investimento in obbligazioni. Anche per questo continuate a trovare all’acquisto bond in dollari Usa e in euro scelti sia tra i titoli emessi dagli Stati, sia tra quelli emessi dalle società. Cogliete l’occasione per fare il punto del vostro portafoglio e per controllare di essere allineati ai nostri consigli anche in questo campo: rimandare, finché c’è gioventù, potrebbe non essere saggio.
Alessandro Sessa
Direttore responsabile Investi