Rame: che fare ora?
Il problema di fondo rimane lo squilibrio strutturale dell'offerta, che non riesce a tenere il passo della domanda.
Il problema di fondo rimane lo squilibrio strutturale dell'offerta, che non riesce a tenere il passo della domanda.
Il rame non è più semplicemente un metallo industriale ciclico, ma il protagonista assoluto della transizione energetica. Il recente livello record dei prezzi (11.568,19 dollari Usa per tonnellata all’8/12 sul mercato di Londra) segna un rialzo del 30% da inizio anno e riflette la consapevolezza che l’elettrificazione globale e l’espansione dei data center per l’intelligenza artificiale richiedono volumi di metallo che l'offerta attuale fatica a garantire. Tuttavia, questa corsa è accompagnata da una volatilità che impone prudenza nell'approccio all'investimento.
A complicare il quadro interviene una dinamica geopolitica che sta ridisegnando i flussi globali del metallo, ovvero l'effetto dei potenziali dazi statunitensi. Con gli Stati Uniti che potrebbero introdurre tariffe sulle importazioni di rame prima del 2027, l'industria americana ha avviato una corsa all'accumulo preventivo, importando massicciamente metallo per costituire scorte a costi inferiori. Questo fenomeno sta agendo come un'aspirapolvere sugli stock mondiali, che vengono progressivamente immobilizzati nei magazzini statunitensi. Sebbene la quantità totale di rame nel mondo resti invariata, la sua concentrazione negli USA lo rende meno disponibile per le piazze europee e asiatiche, alimentando timori di carenze locali e rendendo il mercato globale estremamente vulnerabile a qualsiasi intoppo logistico o minerario.
Il problema di fondo rimane lo squilibrio strutturale dell'offerta, che non riesce a tenere il passo della domanda. I grandi produttori mondiali, dal Cile all'Indonesia passando per Perù e Repubblica Democratica del Congo, devono affrontare sfide crescenti come il calo del tenore del minerale estratto, l'aumento dei costi operativi e il moltiplicarsi di incidenti tecnici o tensioni sociali che bloccano i volumi. A ciò si aggiunge la lentezza burocratica e operativa: lanciare una nuova miniera oggi richiede spesso più di 15 anni. L'offerta è quindi rigida, mentre la domanda accelera spinta non solo dall'industria fisica, ma anche dal settore finanziario che sta inserendo sempre più materie prime nei portafogli d'investimento.
Le proiezioni per il 2026 confermano questa tensione. L'International Copper Study Group (ICSG) stima un deficit di circa 150.000 tonnellate di rame raffinato dopo il surplus del 2025, ma scenari più aggressivi legati alla transizione energetica suggeriscono che tale deficit possa salire fino a 300.000 o 400.000 tonnellate se la domanda di veicoli elettrici e data center si rivelasse più forte del previsto. Di riflesso, le grandi banche d'affari hanno aggiornato i loro target: Citi e UBS prevedono che il prezzo possa toccare i 13.000 dollari la tonnellata nel corso del 2026, mentre Goldman Sachs mantiene un approccio leggermente più conservativo, stimando oscillazioni tra i 10.000 e gli 11.000 dollari.
In questo scenario di prezzi record, il buon padre di famiglia deve restare lontano dal settore, perché la volatilità è estremamente elevata. A chi non temesse il rischio e volesse fare una scommessa di lungo periodo un paio di mesi fa abbiamo consigliato un Etf che punta direttamente sui produttori di rame con Ishares Copper Miners Ucits (7,25 euro al 10/12; era 6,553 euro al 7/10; Isin IE00063FT9K6) quotato a Piazza Affari. Fin qui è andata bene, con una crescita di oltre il 10% è cresciuto più del rame che nello stesso periodo ha avuto una crescita più modesta. E qui c’è un elemento importante di cui tenere conto: gli Etf minerari hanno una leva operativa implicita. Le società hanno costi di estrazione fissi elevati; perciò, quando il prezzo del rame sale, i loro profitti aumentano in modo più che proporzionale, amplificando i rialzi. Questo effetto funziona però anche al contrario, accelerando le perdite in caso di ribasso del metallo. Per questo motivo le loro azioni, e gli Etf che le contengono, sono intrinsecamente più volatili della materia prima stessa, pur non essendo prodotti a leva finanziaria. In altre parole ,questo Etf tende, in teoria, ad ampliare i movimenti del rame, ma senza fare uso di strumenti derivati (che hanno dei costi e che nel campo degli Etf sono sfruttati per spingere i prezzi giornalieri e non nel lungo periodo, dove l’effetto compounding li può vanificare). Ora è chiaro che le attese di crescita del rame in termini di prezzi che abbiamo visto non sono tali da giustificare una scommessa speculativa in sé, ma lo possono essere se fatti sulle miniere che in teoria espandono questo movimento.
Chi ha già fatto la scommessa sull’Etf consigliato la può, quindi, mantenere, e chi non l’ha fatta può pensarci su. Ma attenzione, un investimento tematico a lungo termine, strumenti come gli Etf sui produttori ha senso, ma solo a patto di accettare un rischio elevato. Chi entra oggi lo fa con l’idea che: l’offerta resterà limitata per molti anni, la domanda continuerà a crescere, le tensioni geopolitiche non diminuiranno, nuove miniere non verranno aperte abbastanza in fretta. Ma deve anche sapere che: i prezzi possono subire correzioni violente, gli Etf sulle miniere amplificano la volatilità del metallo, un singolo trimestre negativo può erodere valore dell’investimento rapidamente.