Rame, un mercato sotto pressione

A settembre, è arrivato un grave incidente nella miniera di Grasberg, in Indonesia che ha costretto l’operatore Freeport a sospendere le attività e rivedere le stime di produzione per il resto del 2025 e il 2026
A settembre, è arrivato un grave incidente nella miniera di Grasberg, in Indonesia che ha costretto l’operatore Freeport a sospendere le attività e rivedere le stime di produzione per il resto del 2025 e il 2026
Tra fine giugno e fine settembre il prezzo del rame è salito solo del 1,6% in euro rispetto al +16,6% dell’oro e al +28,2% dell’argento. Meno dell’alluminio (+3,1%) e dello zinco (+9,9%), eppure, ciò non significa che non siano stati mesi vivaci dalla nostra analisi pubblicata il 25 giugno scorso (a cui era seguita a inizio luglio una breve riflessione sui dazi di Trump).
Già allora il mercato del rame mostrava segni accentuati di tensione fisica: i magazzini londinesi (LME) erano molto vuoti, e chi voleva accaparrarsi metallo subito era disposto a pagare un sovrapprezzo elevato. Da quel momento in poi, per qualche settimana, abbiamo vissuto una fase in cui il metallo disponibile sul breve termine era scarso e le aziende che avrebbero avuto bisogno del rame subito si sono messe in fila pronte a pagare di più pur di garantirsi una consegna.
Nei mesi estivi, questa tensione si è diffusa nel mondo: da un lato, i grandi centri stoccaggio come quelli del COMEX (in Nord America) hanno iniziato a mostrare livelli relativamente più alti rispetto all’Europa, segno che il metallo si stava “spostando” dove era più richiesto o più remunerativo. Dall’altro lato, l’offerta mineraria, che già non brillava per elasticità, ha cominciato a mostrare cedimenti: miniere con problemi operativi, ritardi, questioni geologiche e normative.
Poi, a settembre, è arrivato un grave incidente nella miniera di Grasberg, in Indonesia — uno dei giganti globali del rame — ha costretto l’operatore Freeport a sospendere le attività e rivedere le stime di produzione per il resto del 2025 e il 2026. In pratica, un’enorme fetta di metallo promesso è sparita dal mercato nel brevissimo periodo. Molti attori, da Goldman Sachs in giù, hanno ricalcolato i conti: dove prima si ipotizzava un leggero surplus per il 2025, ora si parla di deficit strutturale.
In ottobre, dunque, i prezzi del rame hanno continuato a salire, sospinti dall’ansia che ogni nuovo problema operativo possa togliere altra offerta dal circuito. Dai 10.225,52 dollari a tonnellata del 30 settembre si è passati ai 10724,30 dollari la tonnellata del 7 ottobre per cui siamo sui massimi.
Un segnale particolarmente forte viene dall’Australia: il governo federale e quello del Queensland hanno annunciato un sostegno da 395 milioni di dollari australiani per mantenere operativo il complesso di fusione di Mount Isa e la raffineria di Townsville, gestiti da Glencore, che altrimenti dovrebbero chiudere per costi troppo elevati e ricavi troppo stretti. È un passaggio che dimostra plasticamente quanto l’attività intermedia stia soffrendo tanto quanto le miniere stesse.
I nervi scoperti del mercato
Dopo quanto accaduto a Grasberg, abbiamo una novità, quella del deficit produttivo che spunta all’improvviso: Goldman Sachs, per esempio, ha rivisto le sue previsioni abbassando la stima dell’offerta mineraria globale nel 2025 e passando da un surplus medio stimato a un deficit di decine di migliaia di tonnellate. Alcuni analisti parlano di perdite potenziali fino a 500-600.000 tonnellate tra fine 2025 e 2026, equivalenti a una percentuale non trascurabile della produzione mondiale. Questo significa che i margini che si pensava di avere non sono più così ampi. Al contempo, le fonderie, che un tempo stavano tranquille sapendo che il concentrato minerario sarebbe stata “a disposizione”, oggi si trovano a contrattare, a volte anche a pagare per assicurarsi rame grezzo. Nel tuo testo precedente ricordavamo che già questo era un segnale di squilibrio: la pressione sull’offerta è tale da ribaltare i rapporti tradizionali tra minerari e raffinatori. In parallelo, la domanda continua a spingere, e in modo non casuale. Non è più solo quello che costruiamo oggi (case, infrastrutture tradizionali), ma quello che voglio fare nei prossimi 10-20 anni: reti elettriche, stoccaggio, trasmissione, veicoli elettrici, centri dati, intelligenza artificiale. Il rame è ovunque dove serve energia, connettività e intensità elettrica. Molti studi recentemente ribadiscono che la domanda strutturale continuerà a crescere per via dell’elettrificazione dell’economia. Aggiungiamo il fatto che molte nuove miniere hanno tempi lunghi per entrare in produzione (anni, decenni), costi elevati, rischi sociali e ambientali sempre più accentuati — e otteniamo un cocktail che rende il mercato del rame che pone domande particolarmente importanti.
Infine, c’è il fattore politico e normativo, che raramente viene fuori nei rendiconti tecnici ma pesa. I dazi americani, le investigazioni sulle importazioni, le politiche energetiche nazionali, il controllo dei metalli critici, gli incentivi alle fonti rinnovabili e la spinta alla sovranità nei materiali industriali sono tutti elementi che spingono e mettono sotto stress il mercato. Il mero “prezzo del rame” ormai non basta: è prigioniero di scelte strategiche e scelte geopolitiche.
Scenari possibili e prudenza necessaria
Iniziamo con lo scenario più prudente: se l’economia si raffredda, se il dollaro torna forte, se in alcuni paesi la domanda rallenta allora potremmo vedere un ritracciamento verso livelli più bassi. J.P. Morgan, ad esempio, in una analisi di luglio che, quindi, precedeva il caso di Grasberg prevedeva che i prezzi potessero stabilizzarsi attorno ai 9.350 dollari la tonnellata nel quarto trimestre, con margini al ribasso se la ricostruzione degli stock riprendesse vigore.
Tenuto conto di quanto successo: se Grasberg riuscisse a ripartire solo parzialmente nel quarto trimestre, e altre miniere non aggiungessero choc aggiuntivi, i prezzi dovrebbero mantenersi sui livelli attuali, oscillando in una fascia compresa tra 10.000 e 11.500 dollari per tonnellata, con momenti di su e giù repentini. In questo scenario, chi ha bisogno di metallo subito cercherà di anticipare gli acquisti, alimentando la volatilità. Goldman Sachs, ad esempio, mantiene obiettivi a medio termine orientati al rialzo, stimando che il mercato 2025 possa chiudere in regime di deficit moderato e che i prezzi possano restare sugli attuali livelli elevati.
Infine, c’è lo scenario peggiore: se altri incidenti, nuovi vincoli ambientali, proteste sociali o crisi politiche colpissero miniere chiave, potremmo entrare in una fase di deficit strutturale di medio termine. In quel caso, la narrativa del metallo della transizione energetica diverrebbe ancora più stringente, e il mercato potrebbe spingere verso nuovi record (o almeno restare in tensione elevata). Alcuni studi indicano che, entro il 2035, la domanda di rame dovrebbe crescere notevolmente — e che la capacità produttiva potrebbe non stare dietro.
Un elemento, infine, che non deve essere perso d’occhio è il rapporto tra scorte e consumi, ovvero quanto “cuscinetto” c’è in caso di problemi di produzione. Se i magazzini tornano a riempirsi. Ma il mercato oggi sembra preferire l’ansia dell’incertezza piuttosto che la rassicurazione della stabilità.
Ogni finale è provvisorio: che fare sul medio termine?
Un buon padre di famiglia non dovrebbe scommettere alla cieca, anche perché si parla, comunque di piccoli balzi del prezzo del rame, almeno nel breve periodo, e non vale la pena di rischiare di farsi male per così poco.
Chi volesse, invece, fare una scommessa di lungo periodo potrebbe puntare direttamente sui produttori di rame con Ishares Copper Miners Ucits Etf (6,553 euro al 7/10; IsinIE00063FT9K6) quotato a Piazza Affari. Attenzione, però, ai termini della scommesa. Questo prodotto a luglio quotava poco sopra i 5 euro e ancora a inizio settembre era sotto i 5,5 euro. Siamo giunti ai prezzi attuali con il boom di settembre ottobre per i fatti che conosciamo. Ovviamente non è che queste corse vanno in eterno. Prudenza si impone. Bisogna sapere che l'Etf potrebbe benissimo invertire la marcia e chi ci ha investito potrebbe perderci molti soldi. La scommessa ha quindi i seguenti termini: di essere fatta in un’ottica di lungo periodo (qualche anno) e che continui a scarseggiare il rame. Se non dovesse essere così c’è possibilità di perderci.
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