Il caro energia grava sulle vacanze d'agosto

Energia
Energia
Non è solo l’estate delle polemiche per gli elevati costi dei beni e servizi alimentari – vedi nostra analisi sul settore qui – ma anche il caro energia sembra essere tornato a gravare sulle tasche degli italiani nei tradizionali giorni di vacanza di metà agosto.
Dalla nostra analisi svolta a fine giugno, i prezzi del gas in Europa sono aumentati di circa il 12 % mentre il prezzo del petrolio di qualità brent è salito di circa il 15%. Rispettivamente, alla fine della giornata di Ferragosto 2023, il prezzo del gas rilevato sulla Borsa di Amsterdam era di circa 36 euro per megawattora (a inizio giugno si era scesi a 23 euro) mentre quello per il petrolio brent era di circa 85 dollari al barile (sempre nella prima metà di giugno si era scesi sui 72 dollari al barile).
Se il prezzo del gas resta molto distante dai picchi registrati dopo lo scoppio della guerra in Ucraina e dai valori di inizio anno (a gennaio si erano superati più volte anche i 150 euro per megawattora), quello del petrolio continua a non mollare la presa e a restare su valori elevati – di fatto sono gli stessi d’inizio anno. Che cosa sta succedendo?
La ragione dei prezzi elevati del petrolio ha una duplice origine. Primo: la domanda di petrolio nel mondo resta sostenuta. Non solo: secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia la domanda di oro nero ha toccato sia a giugno, sia nei primi giorni di agosto il record storico mai visto di 103 milioni di barili al giorno. Diversi i motivi di questa sete di oro nero: dalla domanda cinese, soprattutto in ottica petrolchimica, registrata nella prima parte dell’anno con la fine delle chiusure pandemiche nel Paese, alla forte ripresa del settore dei viaggi e del turismo aereo, alla lenta transizione energetica. Secondo: una minore offerta di greggio sul mercato per effetto, soprattutto, della decisione dell’Arabia Saudita di ridurre l’attività delle trivelle oltre quanto aveva inizialmente annunciato. Inoltre, c’è la riduzione di capacità produttiva sia in Russia, per effetto delle sanzioni occidentali dopo la guerra in Ucraina, sia negli Stati Uniti, dove il rialzo del costo del denaro sta frenando alcuni progetti di estrazione, tanto che la produzione Usa dovrebbe attestarsi su valori pre-pandemici.
Come abbiamo detto, invece, la dinamica per il prezzo del gas è differente: per esempio, da fine giugno il prezzo del gas negli Stati Uniti si è in realtà contratto di circa il 2,5%. Le ragioni del rialzo in Europa sono dunque dovute squisitamente a una fragilità europea: dobbiamo continuare a importare il gas che non arriva più dalla Russia e, quindi, basta ogni minimo intoppo – come la chiusura annunciata di alcuni rigassificatori in Australia, che ha portato il mercato asiatico a far ripiegare la domanda sul gas americano che rischia, dunque, di arrivare in misura minore sulle coste europee – per far schizzare al rialzo il prezzo qui da noi.
Che cosa c’è da attendersi per i prezzi energetici nel prossimo futuro?
Cominciamo dal petrolio. Se è vero che i tagli alla produzione potrebbero continuare, è altrettanto vero che, sempre secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia, dopo il picco del 2023, nel corso del 2024 la corsa della domanda dovrebbe rallentare – la Cina dovrebbe continuare a trainarla, ma i recenti dati macroeconomici hanno dimostrato che l’economia del Dragone potrebbe correre meno del previsto. Giocano, inoltre, i timori, ancora non del tutto sopiti, di una recessione in diversi Paesi occidentali – fatto che porterebbe a una contrazione della domanda di energia.
Riflessioni analoghe possono essere fatte per il prezzo del gas. Se è vero che un possibile inverno rigido, accompagnato da intoppi alle forniture, potrebbe creare tensioni al rialzo sul prezzo del gas, è altrettanto vero che gli stoccaggi in Europa restano su valori storicamente elevati, rendendo i rischi di “razionamento” molto remoti. Inoltre, l’incognita della domanda asiatica pesa, comunque, anche sui prezzi del gas negli Usa. Insomma, sia per il gas, sia per il petrolio esistono forze contrastanti – su tutte, il rischio di un rallentamento economico (a favore di una discesa dei prezzi) e alcuni problemi e possibili ritardi nell’offerta (a favore, invece, di un loro rialzo) – e noi ci aspettiamo che pur con una serie di alti e bassi, i prezzi possano rimanere sugli attuali livelli anche nel medio periodo.
Per le prospettive appena viste sconsigliamo di investire su prodotti finanziari tipo Etc o certificate che puntano direttamente sul prezzo delle materie prime energetiche – soprattutto evita quelli “a leva”.
Per quanto riguarda le azioni delle società del settore petrolifero consigliamo di limitarti a mantenere gli investimenti (nelle singole azioni o in eventuali fondi ed Etf) che eventualmente già hai, ma senza investire ulteriormente. Se è vero che prezzi del petrolio su questi livelli sono un bene per i ricavi delle attività di esplorazione e produzione è altrettanto vero che comunque anche le società petrolifere devono far fronte sia all’aumento dei tassi d’interesse (gli investimenti per continuare a produrre diventano più costosi), sia costi legati alla transazione energetica di cui, necessariamente, dovranno far parte. Questo rischia di limitare la loro redditività.
Per quanto riguarda gli investimenti sulle società attive specificatamente sul gas, già nella nostra analisi di giugno ti avevamo detto di limitarti a mantenere le azioni che ti erano rimaste. Da allora le azioni Cheniere (162,3 Usd; Isin US16411R2085) sono salite ulteriormente di un altro 9% (il dato è lo stesso in euro e dividendi inclusi) grazie a risultati trimestrali che hanno mostrato un netto progresso dal punto di vista della redditività e hanno sorpreso in positivo il mercato che non si aspettava tanti utili. Da un punto di vista dei ricavi, però, il rallentamento atteso è stato più marcato del previsto: ai prezzi attuali crediamo che le prospettive siano ormai ampiamente scontante dal mercato. Vendi anche la restante fetta di azioni che ancora hai in mano: ne esci, rispetto al consiglio del luglio del 2022, con un guadagno del 23% che diventa +18,5% in euro e dividendi inclusi (sull’altra fetta di azioni, se hai seguito il consiglio di vendita, avevi guadagnato circa il 9%): si tratta di un risultato migliore sia di quello delle altre società del settore energetico (+7,5% in euro e dividendi inclusi), sia delle Borsa mondiali (poco sotto il +10% in euro e dividendi inclusi) sullo stesso periodo. Incassa i guadagni.
Le azioni Flex LNG (333,2 corone norvegesi; Isin BMG35947202) invece continuano a viaggiare sostanzialmente sugli stessi valori della nostra analisi di giugno. Del resto, la flotta della società lavora a pieno regime e sostanzialmente tutte le navi sono impegnate anche oltre il 2024 con tariffe già fissate e concordate – solo una è legata alle oscillazioni dei noli sul mercato. Si tratta di una situazione decisamente positiva, ma che lascia ormai spazio a ben poche sorprese. In compenso, il gruppo proprio per l’ampia visibilità sull’andamento dell’attività, ha deciso di restare generoso continuano a pagare un dividendo che in un anno dovrebbe garantire un rendimento lordo di circa il 10% (rispetto ai prezzi attuali del titolo). Per questo dividendo generoso, puoi ancora mantenere le azioni che ti sono rimaste. Se non le hai, però, non è il caso di acquistarle adesso.
Chiudiamo questa analisi con una riflessione generale sugli impatti di questi elevati prezzi energetici su alcune economie globali. Lo diciamo subito, la situazione più delicata è quella europea. Per le imprese europee la sfida sarà, infatti, duplice: da un lato dovranno fare i conti con un costo dei finanziamenti elevato e che rimarrà tale per molto tempo; dall’altro dovranno fare i conti con una bolletta energetica molto più alta di quella dei loro principali concorrenti, che non mancherà di pesare sulla loro competitività. L’industria europea sarà tra la più colpite ed è prevedibile che molti gruppi (alcuni lo hanno già annunciato) prenderanno in considerazione la delocalizzazione di parte della loro produzione per rimanere competitivi. Naturalmente, tutto ciò pesa sulle prospettive di un’eurozona che, quindi, a nostro parere non merita spazio nelle nostre strategie d’investimento.
Altri Paesi ci sembrano, invece, più adatti a reggere il confronto: è il caso degli Stati Uniti, che pur con un costo del denaro elevato, sono autosufficienti dal punto di vista energetico e presenti in tutti i settori che sembrano avere maggiori prospettive in futuro. E questo è anche il caso della Cina che, nonostante un momento sicuramente non felice per la sua economia, ha il controllo delle tecnologie e dei materiali necessari per la transizione energetica, e può beneficiare anche delle forniture di idrocarburi russi a buon mercato. Per queste ragioni, sia la Borsa degli Stati Uniti, sia quella cinese continuano a trovare spazio nelle nostre strategie d’investimento.
Prezzi, variazioni e consigli alla chiusura del 15 agosto 2023
Attendi, stiamo caricando il contenuto