Private equity, ripartenza cauta

Gli investitori tornano a scommettere sui fondi, ma le maxi acquisizioni restano ferme ai box.
Gli investitori tornano a scommettere sui fondi, ma le maxi acquisizioni restano ferme ai box.
Negli ultimi due mesi il mondo del private equity ha vissuto una fase di transizione che interessa da vicino anche chi investe indirettamente attraverso fondi o prodotti finanziari collegati. Dopo un 2024 difficile, la raccolta di capitali ha ripreso quota: da gennaio a giugno i fondi hanno attratto oltre 420 miliardi di dollari, un segnale che gli investitori istituzionali stanno tornando a credere in questo settore. Non si tratta però di un entusiasmo generalizzato: il denaro va soprattutto verso i grandi gestori e le strategie considerate più sicure, mentre i fondi minori faticano a emergere.
Sul fronte delle acquisizioni, invece, il ritmo si è fatto più lento. Nel secondo trimestre il numero e il valore delle operazioni sono calati in modo netto, riportando i volumi ai minimi dal 2020. Gli operatori preferiscono aspettare che la situazione dei tassi d’interesse e delle politiche commerciali statunitensi diventi più chiara. A luglio il rallentamento si è confermato, con una flessione rispetto al mese precedente. Per il piccolo investitore questo significa che, almeno per ora, il mercato dei grandi affari è in una fase di pausa, con meno notizie e meno colpi di scena.
Un’area che invece sta esplodendo è quella delle cosiddette operazioni “secondarie”: qui non si comprano nuove aziende, ma si scambiano quote di fondi già esistenti o interi portafogli. Nei primi sei mesi del 2025 questo mercato ha superato i 100 miliardi di dollari, il livello più alto mai registrato in metà anno. Perché è importante? Perché consente ai fondi e agli investitori di recuperare liquidità in un periodo in cui vendere società a multipli elevati non è facile. In altre parole, è una valvola di sfogo che mantiene vivo il settore.
Altro fronte caldo è quello del finanziamento. I fondi di private credit, che prestano denaro direttamente bypassando le banche, sono oggi un pilastro delle operazioni. La concorrenza tra loro e i mercati dei prestiti tradizionali li spinge ad assumersi più rischi, offrendo condizioni generose. Per chi investe in obbligazioni o fondi di debito, questo significa che ci sono più opportunità ma anche rischi crescenti legati alla solidità delle aziende finanziate.
Non mancano gli accordi simbolici: il caso più citato è il delisting della catena di club privati Soho House, acquistata da un consorzio guidato da MCR con il sostegno di Apollo e Goldman Sachs. Un’operazione che dimostra come, nonostante il rallentamento generale, i marchi iconici con potenziale di crescita attraggano ancora capitali.
Infine, i giganti del settore continuano a macinare grossi numeri. Blackstone ha visto i suoi asset in gestione crescere di oltre il 10% in un anno, arrivando a oltre 1.200 miliardi di dollari, mentre Carlyle è salito a 465 miliardi. Il messaggio è che i grandi continuano ad allargarsi, diversificando verso credito, infrastrutture e prodotti destinati anche agli investitori privati.
Per chi guarda da fuori, il quadro è misto: la raccolta di denaro e il mercato secondario mostrano segnali di vitalità, mentre le grandi acquisizioni restano rare. La fase è di attesa, ma le fondamenta restano solide. Per i risparmiatori significa che il private equity, pur lontano dai picchi di euforia del passato, resta un settore in evoluzione e con prospettive più di medio-lungo periodo che immediate, soprattutto se si osserva come i grandi player si stiano adattando a un mondo più complesso.
In questo contesto incerto continuiamo (vedi qui per l'ultima pubblicazione) a mantenere l’Etf Xtrackers LPX Private Equity (134,99 euro al 18/8; Isin LU0322250712) che investe in società attive nel settore.
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