Non perché le aliquote siano aumentate, ma per un fenomeno meno visibile chiamato fiscal drag. Il fiscal drag si verifica quando l’inflazione fa salire stipendi e redditi nominali, ma le soglie fiscali restano ferme. Così, anche se il potere d’acquisto non cresce davvero, si finisce per pagare più tasse. È come se lo Stato, restando immobile, allungasse la mano ogni volta che l’inflazione spinge un po’ più in alto il nostro reddito. L’inerzia, in questo caso, diventa un costo per tutti. Lo stesso rischio si corre oggi con la riforma fiscale prevista dalla legge delega. Molti dei suoi tasselli sono stati rinviati al 2026, e tra questi manca ancora un intervento atteso: quello che permetterebbe di compensare in modo più equo i redditi finanziari. Oggi la legge distingue tra redditi di capitale (come interessi e dividendi) e redditi diversi (plusvalenze e minusvalenze su azioni, obbligazioni o certificati). I primi non possono essere compensati con le perdite, i secondi sì — ma solo entro quattro anni e solo fra loro. Il risultato è un sistema ingiusto: chi investe paga su ogni piccolo guadagno, ma non può recuperare con tutte le perdite. Ecco perché serve coraggio e rapidità. Ogni rinvio pesa come una tassa nascosta sul futuro. Il governo ha la possibilità — e il dovere — di agire subito, completando la riforma e abolendo la non compensabilità dei redditi. Perché la vera riforma fiscale non è solo nei numeri dei bilanci, ma nel rispetto verso chi lavora, risparmia e contribuisce ogni giorno. Fate presto, davvero: il tempo della riforma fiscale è ora.
Alessandro Sessa
Direttore responsabile Investi