La paura del carovita fa più danni del carovita stesso…

La paura del carovita
La paura del carovita
Se guardi il grafico Una fiammata che non si vedeva da anni l’inflazione europea nel corso del 2021 ha vissuto una vera e propria impennata arrivando al 3%. Il balzo è stato inferiore in Italia, dove ci siamo fermati al 2%, ma comunque siamo in presenza di una fiammata dei prezzi che non si vedeva da tempo. A giudicare dai nomi dei prodotti che vengono venduti in questo periodo (per esempio Eurizon Strategia Inflazione Settembre 2026 che è stato in collocamento da metà luglio fino a questo giovedì), quello del carovita deve essere un cruccio diffuso. Ma è veramente un problema da cui difendersi al più presto?
Il dato dell’inflazione in Italia ad agosto in un primo momento era stato stimato pari al 2,1% annuo, ma gli aggiornamenti delle stime (allora erano solo preliminari) hanno portato a un abbassamento.
In agosto il dato sull’inflazione europea (stiamo parlando di stime) era balzato al 3% facendo preoccupare alcuni. A ben vedere, però, il dato era trainato dall’energia che ha messo a segno un +15,4%; escluso l’energia, avremmo avuto un ben più contenuto +1,7%. I dati peggiori sono venuti dal Nord Europa (Estonia 5%, Lituania 4,9%, Belgio 4,7%). Tra i Grandi Paesi Europei abbiamo sopra la media Germania (3,4%) e Spagna (3,3%), sotto oltre all’Italia c’è la Francia (2,4%). I Paesi mediterranei come Malta (0,3%) e Grecia (1,2%) hanno chiuso la lista.
RITORNO ALLA NORMALITÀ, MATERIE PRIME E MICROCHIP
Alla base della recente fiammata dell’inflazione ci sono spesso dei fenomeni ritenuti passeggeri. Innanzitutto, c’è il ritorno alla normalità post pandemia. Un anno fa (base di confronto per calcolare i prezzi di oggi) l’economia se non era ferma o in frenata, se la stava comunque passando male. Il mondo era uscito da poco da un lockdown e si stava preparando a quello successivo. Tutto frenava. E infatti se guardi sempre il grafico Una fiammata che non si vedeva da anni il 2020 si è chiuso con prezzi in deflazione. Ora siamo in piena ricerca della normalità perduta: l’economia sta crescendo con vigore (anche se è ancora sotto i livelli pre-pandemia) e il commercio è in ripresa. È normale che i prezzi siano spinti all’insù.
Complice la ripresa mondiale, a fine agosto (dati in euro) il petrolio risultava del 71,4% più caro rispetto a un anno prima. Il dato dell’alluminio era un +57,3%, quello del rame +44,1%. Sul fronte del cibo abbiamo la soia a +37,3%, il bestiame +24,1%, il succo d’arancia +18,8%, il grano +32,5%, lo zucchero +58,8%, la pancetta di maiale +50,6%, il mais +67,8%. In calo praticamente solo il riso (-13%) e i metalli preziosi (oro -7% e argento -10,9%).
Una fiammata che non si vedeva da anni
L’inflazione europea (in grassetto) è balzata al 3%, livelli che non si vedevano da una decina di anni. La fiammata è, però, percepita come temporanea. I dati di alcuni Paesi del Sud Europa sono ancora più bassi delle medie europee (la linea sottile è l’inflazione italiana ex tabacco, tra l’altro base di calcolo del rendimento dei BTp Italia).
Previsioni solo ritoccate
Le attese d’inflazione attuali (in nero) sono salite solo marginalmente rispetto a quelle del secondo trimestre (in blu) e anche rispetto alle attese di un anno fa (in azzurro) non fanno impressione. La linea orizzontale indica l’obiettivo della Bce di una inflazione media del 2%, obiettivo che non sembra messo in dubbio. Se vuoi saperne di più vai qui: www.ecb.europa.eu/stats/ecb_surveys/survey_of_professional_forecasters/html/table.
Interessante sul tema inflazione è il caso inglese: la Brexit ha portato sia un incremento dei prezzi del cibo (pensa alla verdura fresca che viene in larga parte importata dall’UE), sia a problemi di approvvigionamento (i camionisti in Gran Bretagna sono soprattutto stranieri, ma la Brexit frena l’arrivo di stranieri) con la conseguenza di una impennata dei prezzi, saliti del 3,2% in agosto.
Poi c’è il nodo materie prime: sono salite (vedi a fianco) e, come ti diciamo a pagina 15 parlando del settore utility, i prezzi dell’energia sono in crescita. C’è pure il pasticcio dei microprocessori (vedi pagina 19) di cui parliamo da tempo: se ne fanno troppo pochi e questo sta rallentando la produzione di beni di consumo (anche elettrodomestici) che ne hanno bisogno per funzionare. Come vedi, però, si tratta di problemi che sono più temporanei che strutturali. Non a caso, le autorità come la Banca centrale europea (Bce), non sono particolarmente preoccupate del fenomeno (te ne abbiamo parlato diverse volte, tra cui in AF 1427), anche se non mancano di tenerlo sott’occhio. Come vedi nel grafico Previsioni solo ritoccate, le previsioni di inflazione degli analisti per gli anni a venire non vedono un rialzo sopra i livelli medi di lungo periodo (2%) previsti tra gli obiettivi della Bce. È un segno del fatto che la Banca centrale europea non solo è credibile nei suoi obiettivi, ma viene anche effettivamente creduta. D’altronde in una situazione di disoccupazione non ancora tornata pienamente ai livelli precedenti la pandemia (grafico I disoccupati calano, ma mai abbastanza) le pressioni salariali non sono ancora all’ordine del giorno, soprattutto per quel che riguarda l’Italia, anche se nulla può essere dato per scontato.
I disoccupati calano, ma mai abbastanza
La disoccupazione in Europa (in % sulla popolazione attiva, in grassetto) ha preso a scendere dopo la fiammata legata alla pandemia. La situazione in Italia (linea sottile) resta ancora più difficile che nel resto d’Europa.
Nel terzo trimestre gli analisti si attendono in media una disoccupazione all’8,1% quest’anno, al 7,8% tra un anno, al 7,5% tra due anni. Qui trovi tutte le stime www.ecb.europa.eu/stats/ecb_surveys/survey_of_professional_forecasters/html/table_hist_unem.en.html.
COME CI SI PROTEGGE DALL’INFLAZIONE?
Dopo aver spezzato una lancia a favore di una situazione di minore preoccupazione veniamo a parlare di prodotti finanziari per distinguere quelli che rischiano con l’inflazione e quelli che rischiano meno. Iniziamo subito con un concetto base: le obbligazioni a tasso fisso sono le principali vittime dell’inflazione. Il motivo è presto detto: il loro valore di rimborso è fisso, la loro cedola è fissa, se l’euro perde valore non sono in grado di recuperarlo. Secondo concetto base: le azioni hanno buone possibilità di salvarsi dall’inflazione. Il motivo è che le azioni sono titoli “reali”, cioè inglobano l’effettivo valore dell’azienda di cui sono espressione, per cui sono indifferenti al livello dei prezzi. Abbiamo detto “buone possibilità” e non abbiamo detto “la certezza” perché ovviamente il meccanismo non è automatico. In primo luogo, per la tempistica (ci può essere uno sfasamento temporale) e, in secondo luogo, perché dipende dall’attività delle società: se è una attività penalizzata dall’inflazione anche il valore delle sue azioni scenderà. Terzo concetto base: i bond a tasso variabile possono recuperare l’inflazione (almeno in parte). Il motivo è che la loro cedola dipende dai tassi di mercato a breve termine e questi sono influenzati dall’inflazione. Anche qui non è un processo automatico (infatti abbiamo detto “possono” e poi “in parte”): i tassi attuali in Europa, infatti, sono oggi più bassi rispetto all’inflazione e non accennano a superarla, quindi al momento la regola qui non vale. Tra i bond a tasso variabile c’è una categoria a parte, sono i cosiddetti bond inflation linked che sono legati all’inflazione, questi hanno proprio lo scopo di recuperare il carovita. Lo fanno? Sì. Sempre? Sì. Ci sono fregature? Sì, una: lo fanno al lordo della tassazione: quindi in situazioni di tassi d’interesse di mercato particolarmente bassi e di inflazione molto alta può darsi che tolto quanto dovuto al fisco all’investitore resti in mano solo un recupero parziale dell’inflazione.
L’inflazione può avere effetti diversi sulle società quotate, dipende dalla loro struttura produttiva, per esempio, se possono facilmente far ricadere l’aumento dei prezzi delle materie prime sui propri clienti, oppure no (per non perdere quote di mercato magari rispetto a concorrenti più efficienti).
MA A CONTI FATTI IO COME ME LA CAVO?
Se hai paura dell’inflazione te la cavi senz’altro seguendo le nostre strategie di investimento. Si tratta di strategie che propongono un mix di azioni e obbligazioni e, per questo motivo, grazie al contributo della parte azionaria, sono capaci di resistere anche al carovita. Le trovi sul nostro sito internet al seguente link: www.altroconsumo.it/finanza/portafogli (accertati di essere loggato con la tua password) e te ne parliamo ogni mese (l’ultima volta è stata in AF 1427) dandoti le dritte sui prodotti che devi usare per comporle. Ovviamente si tratta di investimenti pensati per un orizzonte temporale medio/lungo (alcuni anni). Se hai un orizzonte d’investimento breve (pochi mesi o anche solo pochi anni) qui il recupero dell’inflazione non è affatto garantito.
I tassi d’interesse che contano nella vita dei tuoi investimenti sono quelli cosiddetti “reali”, ossia calcolati sottraendo l’inflazione. Sono gli unici che sono capaci di dirti se un domani sarai più ricco o meno. Vediamo con un esempio: hai un conto corrente che ti dà l’1% lordo annuo (0,74% netto) e l’inflazione è al 2%, ci metti 1.000 euro. Tra un anno avrai 1.007,4 euro, ma il loro potere d’acquisto sarà quello di 1.007,4/1,02=987,65 euro. In altri termini ci avrai perso. Viceversa, un conto corrente che ti dà lo 0,5% lordo annuo (0,37% netto), con una inflazione dello 0,2%, dopo un anno ti farà avere 1.003,7 euro che sono meno di 1.007,4, ma il cui potere d’acquisto sarà di 1.003,7/1,002=1.001,7 euro che è più di 987,65.
In Altroconsumo Finanza 1403 ti avevamo segnalato che l’Etf Lyxor euro government inflation linked bond (171,71 euro; Isin LU1650491282), che da allora è salito del 6,1% (quotava 160,87), era un prodotto che investe in bond pensati per contenere il carovita. Ha costi annui bassi (0,09%), diversifica su più Paesi, ma ha anche una durata media dei titoli su cui punta intorno agli 8 anni, cosa che rende il prezzo sensibile al rialzo dei tassi. I motivi di un rialzo dei tassi possono, però, essere principalmente (anche se non esclusivamente) due: un calo dell’affidabilità di un emittente (questo peserebbe sul tuo investimento) e se sale l’inflazione (questo non dovrebbe pesare perché investe in titoli indicizzati al carovita). Continua a non farci impazzire come scelta. Piuttosto ti ricordiamo che anche l’oro tende a comportarsi bene nei momenti di inflazione elevata e che da tempo di consigliamo di investire in una quota extra portafoglio pari al 10% del tuo patrimonio nell’Etc Invesco Physical Gold (169,61 euro: Isin IE00B579F325) consigliato a partire da AF 1404. È quotato a Piazza Affari.
I titoli di Stato italiani indicizzati all’inflazione sono di due tipi: i BTpi (buoni del Tesoro indicizzati all’inflazione europea) e i BTp Italia (indicizzati all’inflazione italiana). Al momento noi non consigliamo l’acquisto di titoli di Stato italiano. Puoi seguire i BTp Italia anche nel nostro selettore dedicato ai bond al link www.altroconsumo.it/finanza/investire/obbligazioni.
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