Le molteplici sfide del Brasile di Lula

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A vent'anni dal suo primo mandato come presidente, Lula da Silva è tornato alla guida del Paese. Grazie a condizioni di mercato favorevoli (vedi lato), Lula riuscì a promuovere investimenti e occupazione, attrarre capitali e gonfiare le casse statali, cogliendo l'occasione per finanziare Bolsa família, un programma sociale di aiuto alle famiglie più povere del Paese che lo aveva reso popolare e aveva “dopato” la domanda interna. Risultato, tra il 2004 e il 2008 la crescita economica brasiliana è stata, in media, superiore al 4,8% annuo; un livello che il Paese ha raggiunto raramente nell'ultimo decennio. Questa volta Lula promette, però, di essere meno pragmatico: con un debito pubblico vicino all'80% del Pil, elevato per un Paese emergente, e con tassi sul debito che superano in media il 10%, i costi del debito sono un onere pesante per i conti pubblici e limitano il margine di manovra.
Alla sua prima elezione gli investitori erano preoccupati per l'arrivo al potere di questo ex leader sindacale, ma sono stati subito rassicurati. Durante il suo primo mandato, la crescita dell’economia cinese fu così vigorosa da spingere la domanda di materie prime e provocarne un’impennata dei prezzi di cui il Brasile, grandissimo produttore, ha beneficiato.
Stop alle privatizzazioni e nuove spese statali
Se per risanare le finanze pubbliche Bolsonaro puntava su un'ondata di privatizzazioni, i cui proventi avrebbero ridotto i costi del debito pubblico, Lula non la pensa allo stesso modo. Appena salito al potere, ha messo fine al processo di privatizzazione di diverse grandi compagnie statali, tra cui il colosso energetico Petrobras. A novembre le vendite al dettaglio sono diminuite: segno che la domanda delle famiglie e delle imprese è in crisi e per il 2023 prevediamo una crescita del Paese inferiore all’1%. Proprio per sostenere la crescita, Lula intende aumentare la spesa e gli investimenti statali, anche a costo di un ulteriore aggravamento del deficit e del debito pubblico. Una tale politica costringerà la Banca centrale a mantenere, come ha fatto per tutto il corso del 2022, una politica monetaria aggressiva, aumentando più volte i suoi tassi ufficiali, attualmente intorno al 13,75%, per sostenere la sua valuta. Così facendo finora è riuscita a stabilizzare il real, ad attirare capitali stranieri e a incoraggiare i ricchi brasiliani a tenere in patria i propri averi, mantenendo sotto controllo l'inflazione – al 5,79% alla fine del 2022, un livello nettamente inferiore a quelli attuali in Europa. La situazione internazionale, tuttavia, non è delle migliori. L'Eurozona si sta avviando verso una recessione, gli Stati Uniti vivranno un brutto periodo, e anche se la Cina si sta riprendendo, non ritroverà il dinamismo di un tempo (vedi il nostro commento sul Paese nelle prossime pagine). Non ci sarà, dunque, il livello eccezionale della domanda di materie prime che aveva fatto felice il Brasile durante il primo mandato di Lula.
L’obiettivo di Lula è quello di migliorare la gestione delle società statali e di metterle al servizio del popolo; un obiettivo rischioso, considerando i livelli di corruzione nel Paese.
Se Lula farà risalire il debito pubblico, la Banca centrale brasiliana non avrà altra scelta che mantenere questa politica monetaria fortemente restrittiva (tassi d’interesse elevati). E il credito costoso spazzerà via gran parte degli sforzi fatti per rilanciare l’economia e risanare le finanze pubbliche.
Un barlume di speranza
Lula potrebbe, però, ancora aver successo perché i prezzi delle materie prime restano elevati e il Brasile ne beneficia. Gli investimenti nel settore dovrebbero rimanere importanti e sostenere il real, che può contare anche sulla credibilità della Banca centrale, apprezzata dagli investitori. Inoltre, il profilo di Lula, meno controverso di quello del suo predecessore, dovrebbe favorire delle migliori relazioni commerciali tra il Brasile e i suoi partner, che potrebbero sfociare anche in nuovi accordi commerciali.
Dato che il credito sta diventando più caro quasi ovunque, i margini di manovra delle Autorità brasiliane saranno molto limitati.
Le materie prime di cui è ricco il Brasile sono per il Paese una grande opportunità. La stragrande maggioranza delle esportazioni è costituita da risorse naturali e prodotti agricoli (minerale di ferro, soia, prodotti petroliferi, zuccheri, carni e molti altri).
Che fare?
Il successo di Lula non è scontato: non sarà facile rilanciare l’economia senza mettere in pericolo i conti pubblici, perché questa volta il contesto internazionale è meno favorevole. La Borsa brasiliana non è cara e la sua più grande società per capitalizzazione (il gigante delle materie prime Vale), che rappresenta il 19% dell’indice Msci Brazil, non risente delle vicende interne del mercato brasiliano. Il gigante statale Petrobras, il cui destino è nelle mani del governo brasiliano, è comunque seconda per capitalizzazione nella Borsa del Paese (12% del MSCI Brazil) e molte altre società quotate sono fortemente dipendenti dal mercato interno; ciò spiega perché, per ora, preferiamo restare fuori dalla Borsa di San Paolo. Al contrario, riteniamo interessanti i bond in real: considerando che l’inflazione brasiliana è al 5,8% e che i tassi d’interesse per i bond che consigliamo, quelli con scadenze comprese tra 2 e 5 anni, sono oltre l’8% netto, il tasso reale (al netto dell’inflazione) è interessante. Ciò ci incoraggia a confermare la presenza per il 5%, a titolo di diversificazione, di titoli di Stato brasiliani in tutte le nostre strategie: difensiva, equilibrata e dinamica. Per questa fetta di portafoglio ti consigliamo di acquistare il fondo Hsbc Gif Brazil bond AC (18,373 usd; LU0254978488).Attendi, stiamo caricando il contenuto