La politica monetaria del Giappone è a una svolta?

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L’8 aprile Kazuo Ueda prenderà la guida della Banca del Giappone, succedendo a Haruhiko Kuroda, che l’ha guidata per 10 anni. Questo brillante professore universitario di 71 anni non è certo estraneo al mondo dei banchieri centrali: aveva già lavorato presso la Banca del Giappone dal 1998 al 2005, ma non era affatto previsto che ne prendesse le redini. Il grande favorito era l'attuale vice-governatore, che ha rifiutato l’incarico ritenendo di non essere la persona adatta per invertire la rotta della politica accomodante attuata dalla Banca del Giappone per più di un decennio.
Nonostante un’inflazione al 4% nel Paese, finora la Banca del Giappone ha infatti mantenuto i tassi ufficiali a -0,10% e acquistato massicciamente titoli del debito pubblico nipponico per sostenere i tassi di interesse dei titoli a 10 anni intorno allo zero. Queste politiche stanno però creando sempre più tensioni a livello finanziario e economico.
Cambiamenti graduali
Anche se non dobbiamo aspettarci una rivoluzione monetaria in Giappone nei prossimi mesi, il futuro Governatore non ha mai nascosto la sua contrarietà al controllo dei tassi sui mercati obbligazionari. Dovrebbe quindi seguire il percorso iniziato dal suo predecessore lo scorso dicembre, quando la banda di oscillazione tollerata dalle autorità monetarie nipponiche per i tassi a 10 anni è stata ampliata dallo 0,25% allo 0,50%. E ampliando gradualmente il margine di tolleranza la Banca del Giappone consentirà così ai tassi di interesse di avvicinarsi al loro corretto livello.
Un processo che sarà lungo sia per evitare che chi detiene titoli del debito pubblico giapponese subisca perdite significative di controvalore, sia per far si che chi ha contratto prestiti sia preparato a un aumento del costo del denaro. Ciò è molto importante considerando che il debito pubblico giapponese (la somma dei deficit passati) è gigantesco: supera il 260% del PIL (tutta la ricchezza prodotta nel Paese).
Tempesta perfetta sul debito pubblico?
Attualmente il finanziamento del debito pubblico non rappresenta un problema per il Paese perché la Banca centrale acquista massicciamente titoli. Anche la diminuzione di questi acquisti non fa temere una crisi finanziaria. Il debito pubblico giapponese è quasi interamente nelle mani di attori locali, come la Banca centrale, fondi pensione e banche. Questo è il paradosso giapponese: lo Stato è indebitato come nessun altro, ma il Giappone è molto ricco, tanto da essere anche il più grande creditore nei confronti del resto del mondo.
Anche senza l’intervento della Banca del Giappone, grazie all’importante risparmio interno, l’aumento dei tassi di interesse rimarrà quindi contenuto, comportando un aumento del peso del debito di circa il 2% del PIL: un costo sostenibile dalle finanze pubbliche che hanno margini di manovra per aumentare le entrate dato che la fiscalità nel Paese è solo il 36,5% del PIL rispetto al 46,5% dell'Unione Europea.
Fine del rimbalzo della Borsa di Tokyo?
La politica monetaria accomodante ha permesso al mercato azionario giapponese di rimbalzare. L'indebolimento dello yen ha favorito, infatti, le esportazioni e soprattutto ha gonfiato i profitti delle imprese giapponesi realizzati all'estero una volta convertiti in moneta nazionale. Ma oggi, questi benefici iniziano a pesare meno rispetto agli svantaggi dell’eccessiva debolezza dello yen: se per le aziende giapponesi, che hanno spostato all'estero la produzione di prodotti a basso valore aggiunto, uno yen debole è indifferente, il deprezzamento della moneta, facendo lievitare il prezzo delle importazioni, fa esplodere i costi di produzione nell'Arcipelago nipponico.
Senza contare che, distribuendo denaro in maniera massiccia e gratuita, la Banca del Giappone finisce per tenere artificialmente in vita aziende senza futuro che si accaparrano - a scapito delle imprese innovative e con buone prospettive - quote di mercato e manodopera in un Paese dove la domanda interna è debole e la carenza di personale rappresenta un problema sempre più grave. Una situazione che penalizza la produttività e il dinamismo economico del Paese
Il Giappone resta una posta di portafoglio
La fine della politica monetaria accomodante genererà qualche turbolenza, ma non causerà una crisi finanziaria mentre lo yen - ora sottovalutato - riprenderà tono e potrà riconquistare il suo ruolo di bene rifugio, che negli ultimi tempi ha perso. I titoli di Stato giapponesi permettono di ridurre il rischio di un portafoglio diversificato e, con le attese di un apprezzamento dello yen, giocano un ruolo essenziale in tutte e 3 le nostre strategie dove sono presenti per il 5%: investici acquistando l’UBS lfs Bl Brc Jap Treas 1-3y Bd Ucits Etf JPY Aac (1.173,12 yen, LU2098179695).
Quanto alle azioni giapponesi, potrebbero vivere un periodo più turbolento con il cambio del Governatore. In ogni caso, la fine della politica di tassi zero sarà vantaggiosa a lungo termine per le aziende nipponiche. La Borsa giapponese è presente per il 5% nella nostra strategia di portafoglio difensiva e equilibrata e per il 10% in quella dinamica. Puoi investirci acquistando l’Etf Xtrackers Nikkei 225 (19,37 euro; LU0839027447).Attendi, stiamo caricando il contenuto