I fondi chiusi sono una particolare tipologia di fondo d’investimento che funziona in modo diverso rispetto ai più comuni fondi aperti. Per capire come operano e perché suscitano interesse in alcuni investitori, è utile partire dal loro meccanismo di base. Quando un fondo chiuso viene creato, emette un numero fisso di quote che viene collocato sul mercato in un’unica fase iniziale. Dopo questo momento, il fondo non ha l’obbligo di riacquistare le quote dagli investitori, né può emetterne di nuove a richiesta. Chi possiede le quote e vuole venderle deve farlo nel mercato secondario, cioè in Borsa, proprio come avviene con le azioni di una società. Il prezzo non è quindi determinato dal gestore in base al valore patrimoniale netto, ma dalla domanda e dall’offerta degli investitori. È questa una delle differenze più rilevanti rispetto ai fondi aperti, che invece possono emettere e rimborsare quote continuamente e il cui prezzo segue fedelmente il valore degli attivi detenuti.
Il contrasto tra fondi chiusi e fondi aperti (i normali fondi comuni di investimento) è importante perché determina un’esperienza d’investimento profondamente diversa. Nei fondi aperti l’investitore può entrare e uscire in qualunque momento, ottenendo il valore aggiornato della quota, calcolato dal gestore. Nel fondo chiuso, invece, la liquidità dell’investimento dipende dal mercato: si può vendere solo se c’è qualcuno disposto a comprare, e il prezzo può essere sensibilmente diverso dal valore reale degli attivi. È frequente che i fondi chiusi scambino a sconto rispetto al loro patrimonio, un fenomeno che può rappresentare un’opportunità oppure un rischio, a seconda della capacità del gestore di valorizzare il portafoglio nel tempo. Proprio perché non devono gestire entrate e uscite continue di capitale, i fondi chiusi possono investire in attività meno liquide, come immobili, infrastrutture, prestiti privati o aziende non quotate, con orizzonti temporali di medio-lungo periodo.
In Italia i fondi chiusi sono pochi e rappresentano un mercato di nicchia. Quelli rivolti al pubblico retail sono storicamente quotati su Borsa Italiana, in particolare sul segmento MTF o sul mercato dei fondi chiusi immobiliari. La maggior parte dei fondi italiani di questo tipo è concentrata sul settore immobiliare, nato in un’epoca in cui si intendeva offrire ai risparmiatori uno strumento per investire direttamente nel mattone, pur con una gestione professionale. Negli ultimi anni, tuttavia, i fondi chiusi aperti al grande pubblico si sono fortemente ridotti, anche a causa di prestazioni altalenanti e di un meccanismo di funzionamento complesso.
Negli Stati Uniti, invece, i closed-end funds costituiscono un mercato consolidato e dinamico. Sono quotati principalmente al New York Stock Exchange e al Nasdaq, proprio come normali azioni, e presentano una grande varietà di strategie. Molti investono in obbligazioni municipali, corporate bond, titoli ad alto rendimento o prestiti difficilmente accessibili ai fondi aperti. Altri puntano su azioni di società di settori specifici, oppure su strumenti più sofisticati, con l’uso di leva finanziaria per aumentare la potenziale redditività. È proprio la leva, insieme alla rigidità del capitale, a rendere questi strumenti tipici del mercato americano, dove gli investitori sono più abituati a oscillazioni di prezzo anche forti e a strutture di gestione più complesse.
Dal punto di vista fiscale, però, i fondi chiusi USA presentano diversi problemi quando vengono acquistati da investitori italiani. In linea generale, essendo fondi domiciliati negli Stati, non rientrano nella normativa europea UCITS e non sono considerati fondi armonizzati. Questo significa che non beneficiano del regime fiscale applicato ai fondi europei, e il loro trattamento dipende dalle regole sui redditi esteri. Le eventuali plusvalenze realizzate alla vendita sono soggette a tassazione ordinaria IRPEF, non al 26% a titolo definitivo come avviene per i fondi armonizzati. Se l'intermediario applica una ritenuta del 26%, questa è a titolo di acconto e deve essere poi conteggiata nella dichiarazione dei redditi, dove le plusvalenze concorrono alla formazione del reddito complessivo e vengono tassate secondo gli scaglioni progressivi. Inoltre, i fondi USA non armonizzati richiedono la compilazione del quadro RW per il monitoraggio fiscale e il pagamento dell'IVAFE (0,2% sul valore).
In sintesi, i fondi chiusi sono strumenti particolari: più stabili dal punto di vista della gestione, ma più volatili dal punto di vista del prezzo di mercato. In Italia rappresentano una nicchia, mentre negli Stati Uniti sono parte integrante del mercato finanziario. Per gli investitori italiani attratti dai loro alti dividendi o dalle loro strategie specialistiche, è fondamentale comprendere non solo la loro struttura e i loro rischi, ma anche il modo in cui vengono tassati, perché proprio la fiscalità può ridurre sensibilmente il rendimento effettivo. Un fondo chiuso è uno strumento da valutare con attenzione, adatto a chi conosce bene il meccanismo e ha un orizzonte temporale sufficientemente lungo per sopportare oscillazioni di prezzo anche marcate.