Crisi Israele-Iran: il punto sul petrolio

Per il 2025 manteniamo quindi le nostre stime di 65 dollari al barile per il brent, rispetto agli 81 dollari del 2024.
Per il 2025 manteniamo quindi le nostre stime di 65 dollari al barile per il brent, rispetto agli 81 dollari del 2024.
L’ultima volta che abbiamo parlato della valutazione dei settori il giudizio sul settore energia era pari a interessante. Come mai non siamo passati all’acquisto? E come mai, ora che imperversano scambi di missili e raid aerei non facciamo delle scommesse sul settore?
Partiamo dal fondo. Lì per lì gli attacchi israeliani contro l'Iran e la risposta iraniana hanno avuto un impatto notevole sul petrolio: venerdì 13 il brent, da meno di 60 dollari al barile a maggio, è balzato a 78 dollari, per poi calare sotto i 74 dollari il lunedì successivo. Vediamo, però, bene gli scenari.
L’Iran rappresenta il 3% della produzione di petrolio (metà esportata), i danni alle sue strutture (depositi, raffinerie, …) avranno un impatto sul mercato mondiale, ma l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (Opec) potrebbe sempre aumentare la produzione (ha 5 milioni di barili al giorno di capacità produttiva inutilizzata). Nel peggiore dei casi, l'Iran potrebbe bloccare lo Stretto di Hormuz, attraverso cui passa il 20% della produzione mondiale di petrolio e di gnl (gas naturale liquefatto) e questo farebbe salire il prezzo del brent oltre i 100 dollari al barile. E se il blocco totale dovesse continuare, si arriverebbe anche a quota 120/130, e l’improvviso balzo dei prezzi provocherebbe un aumento dell’inflazione e gravi perturbazioni in tutta l'economia. Uno scenario del genere è, però, improbabile perché avrebbe ripercussioni sulle esportazioni iraniane anche verso India e Cina. Lo scenario intermedio vede l'Iran colpire petroliere, oleodotti e importanti impianti energetici in Medio Oriente come rappresaglia e ciò sarebbe un problema per TotalEnergies, Shell e BP, che hanno investito nella regione.
Per tener conto delle tensioni i prezzi del petrolio incorporeranno un nuovo premio di rischio (quella parte del prezzo che non è formata dai classici meccanismi di domanda e offerta, ma che deriva dalle anticipazioni legate al timore di uno shock che interessi l'offerta su scala mondiale). A breve termine, prevediamo che il prezzo del brent rimarrà sopra i 70 dollari, finché persisterà l'incertezza sull'evoluzione del conflitto. Siamo però convinti che, se la situazione non degenera, i fondamentali del mercato torneranno a prevalere. In soldoni: l'Opec+ rimetterà sul mercato entro luglio più di 1 milione di barili al giorno, più del previsto, segnando un cambiamento di strategia (finora puntava a sostenere un prezzo tra i 70 e gli 80 dollari al barile). E anche l'aumento della produzione in Guyana e Brasile (Paesi non Opec) alimenta le speculazioni su un eccesso di offerta. Secondo l'Energy Information Administration, la domanda globale di petrolio dovrebbe aumentare di 0,8 milioni di barili al giorno nel 2025 e di 1,1 milioni di barili al giorno nel 2026. In breve, restiamo in un ciclo di eccesso di offerta, che spinge i prezzi verso il basso. Per il 2025 manteniamo quindi le nostre stime di 65 dollari al barile per il brent, rispetto agli 81 dollari del 2024.
Che fare, quindi? Con un valore pari a 13,5 volte gli utili futuri, il settore petrolifero non è caro, mantieni azioni petrolifere come Exxon (113,19 dollari Usa al 18/6; Isin US30231G1022), Chevron (148,19 dollari Usa al 18/6; Isin US1667641005), TotalEnergies (54,6 euro; Isin FR0000120271), Repsol (12,525 euro al 18/6; Isin ES0173516115) ed Eni (14,174 euro al 18/6; Isin IT0003132476). Se vuoi puntare sul settore energetico preferisci una scommessa di lungo periodo sul nucleare con VanEck Uranium and Nuclear Technologies (38,80 euro al 18/6; Isin IE000M7V94E1), quotato a Piazza Affari.
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