Dopo decenni di diffidenza, alimentata da incidenti tragici e da referendum che ne avevano segnato l’abbandono, il nucleare torna prepotentemente al centro della scena (ne abbiamo parlato anche qui). A dare un segnale netto è stata proprio l’Italia, che nelle scorse settimane ha ufficializzato la sua adesione all’Alleanza Nucleare Europea. Una svolta che segna il passaggio da semplice osservatore a parte attiva di un progetto strategico che coinvolge ormai quasi la metà dei Paesi dell’Unione Europea.
La decisione è arrivata durante il Consiglio Energia a Lussemburgo il 16 giugno scorso. L’Italia torna dunque a parlare di energia atomica non solo come ipotesi tecnica, ma come scelta politica concreta, inserita all’interno di un contesto europeo che spinge per un rilancio dell’atomo a fini civili (se ne parla, peraltro, già da mesi, vedi qui, ma anche qui). Un cambio di rotta rilevante, soprattutto se si considera che il nostro Paese aveva detto “no” al nucleare in due referendum, nel 1987 e nel 2011.
Alleanza nucleare europea: di che si tratta?
L’Alleanza Nucleare Europea, nata nel 2023 su impulso della Francia, si propone di riportare il nucleare al centro delle politiche comunitarie, non senza ambizioni. L’obiettivo principale è sostenere la produzione di energia nucleare come parte integrante della transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio. Per farlo, si punta su più fronti: si cercano investimenti per la costruzione di nuove centrali e per il prolungamento della vita utile di quelle esistenti, si lavora a strumenti finanziari per attrarre capitali privati, e si investe nello sviluppo di tecnologie avanzate come i piccoli reattori modulari (SMR), più flessibili e potenzialmente più sicuri.
Ma non si tratta solo di visione ambientale. C’è un’esigenza di sicurezza e autonomia energetica che sta spingendo i governi a ripensare il ruolo del nucleare. I numeri della Commissione Europea parlano chiaro: per raggiungere gli obiettivi fissati al 2050, l’Unione dovrà investire circa 241 miliardi di euro, di cui oltre 200 per nuovi impianti e 36 per la manutenzione e il potenziamento di quelli esistenti. Una scommessa da centinaia di miliardi che si accompagna a una crescente pressione per affrancarsi dalla dipendenza energetica dalla Russia, ancora oggi presente attraverso la fornitura di combustibile nucleare.
Non è un caso che tra i temi più discussi nelle ultime settimane ci sia proprio la necessità di ridurre le importazioni dalla Russia, che nel solo 2024 sono valse circa 700 milioni di euro nel comparto nucleare. La Commissione punta a eliminarle del tutto entro il 2030, ma il percorso è complesso. Alcuni Stati membri, come la Slovacchia e l’Ungheria, dipendono ancora fortemente dalla tecnologia russa, ed è proprio da Bratislava che arriva uno degli annunci più rilevanti del mese: un possibile accordo con la statunitense Westinghouse per la costruzione di un nuovo reattore da 1.250 megawatt nella centrale di Jaslovske Bohunice, operativo entro il 2040.
Sul fronte occidentale, il Regno Unito porta avanti il progetto della centrale di Sizewell C, con un investimento pubblico di 14 miliardi di sterline. Un progetto ambizioso, che però deve affrontare le ombre dei precedenti: sia in Francia che in Finlandia, impianti simili hanno accumulato anni di ritardi e costi ben superiori alle stime iniziali. Le autorità britanniche, tuttavia, confidano nell’esperienza maturata per evitare gli stessi errori.
In questo scenario, l’Italia si ritaglia un ruolo nuovo. Non si tratta ancora di costruire una centrale domani, ma di essere parte di un disegno europeo che considera l’atomo come un tassello fondamentale nella corsa verso la decarbonizzazione. Le scelte concrete dovranno passare dal consenso, che in parte già si sta formando, ma in larga parte va ancora costruito.
Al di là dell’effetto di queste politiche nel nostro Paese che, tutto sommato, è relativamente poco rilevante nel contesto mondiale, questo trend conferma, a termine, la rinascita dell’interesse per l’atomo anche in Europa che era rimasta, tutto sommato indietro, visto il costo dei nuovi progetti, e aveva lasciato la leadership ai Paesi Emergenti.
In questo contesto è inevitabile la conferma del consiglio acquista su un prodotto dedicato al settore nucleare come VanEck Uranium and Nuclear Technologies (38,97 euro il 17/6; Isin IE000M7V94E1) che va comprato, ovviamente, in un’ottica di lungo periodo soprattutto ora che ha guadagnato molto, coerentemente con la tempistica lunga di ogni progetto nel campo dell’energia nucleare.