La finanza si sta trasformando, e una delle parole chiave di questa evoluzione è “tokenizzazione”. Ma cosa significa, concretamente, tokenizzare un fondo comune di investimento? E quali Paesi europei si stanno già muovendo in questa direzione? Proviamo a fare il punto su una tecnologia promettente, che potrebbe cambiare il modo in cui investiamo e accediamo ai mercati finanziari.
Iniziamo a dire che cos’è la "tokenizzazione" dei fondi
Quando si parla di "tokenizzazione", si intende la possibilità di rappresentare digitalmente (tramite la tecnologia blockchain) le quote di un fondo comune di investimento. In pratica, ogni quota viene “trasformata” in un token digitale, che può essere acquistato, scambiato e detenuto in modo sicuro e tracciabile su un registro distribuito.
Questo sistema potrebbe, a detta di chi lo sostiene, semplificare la gestione degli investimenti, eliminando passaggi burocratici, riducendo i costi e velocizzando i tempi. Tra i vantaggi più evidenti ci sono, infatti: meno intermediari e più velocità. Ogni operazione sarebbe registrata e tracciabile. Non è, peraltro, molto diverso ai fini pratici da quello che accade già oggi con gli Etf quotati in Borsa, se non che con i token sarebbe in teoria possibile anche acquistare frazioni piccole di quote, mentre gli Etf si acquistano per quote intere. Non ci pare una gran differenza, ma tant’è. Tra i rischi abbiamo le normative incerte (non ci sono ancora regole), rischi informatici come la perdita delle chiavi digitali d’accesso. E poi gli standard tecnologici devono ancora maturare e poi non è esattamente vero che ci saranno meno attività in ballo perché resta la dipendenza tecnologica da chi si occupa di wallet, smart contract e piattaforme…
A livello europeo esistono diverse norme che si applicano, in parte o indirettamente, alla "tokenizzazione" dei fondi. Ma ancora non bastano.
Abbiamo la MiCA (Markets in Crypto-Assets Regulation, https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A32023R1114): è la prima legge europea pensata per regolare il mondo dei crypto-asset non finanziari (come le stablecoin o gli utility token). Tuttavia, non si applica ai fondi comuni, che sono già regolati da altre direttive come MiFID II, per la trasparenza e tutela dell’investitore (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX:32014L0065) e le altre UCITS, per i fondi armonizzati (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A32009L0065) e AIFMD, per i fondi alternativi (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A32011L0061), tutte norme che restano sempre in piedi. In più al momento abbiamo il DLT Pilot Regime, un progetto sperimentale dell’UE che consente a certi operatori autorizzati di negoziare strumenti finanziari su blockchain (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A32022R0858).
In alcuni Paesi UE stanno già cercando di sperimentare queste novità: in particolare Francia, Germania e Spagna (ma fuori dall’UE c’è anche la Svizzera) stanno facendo le prime esperienze grazie a un quadro normativo aperto alle sperimentazioni, anche se si tratta comunque di esperienze di nicchia che sono ben lontane dalla massa dei risparmiatori.
Tutto sommato i tempi non sembrano ancora maturi e non è ancora ben chiaro quali saranno i reali vantaggi di adottare la blockchain anche per gli strumenti finanziari. Bene la nuova tecnologia, ma deve anche essere utile, abbattere i costi e non aprire le porte a truffe. Vista la disponibilità di strumenti finanziari anche a basso costo in Italia non c’è fretta di accorciare i tempi di esperienze che richiedono di maturare.