Il modello di distruzione creativa di Aghion e Howitt spiegato attraverso l’evoluzione delle tecnologie.
Negli anni Novanta, quasi ogni casa possedeva un videoregistratore e una collezione di cassette VHS. Le imprese che producevano questi apparecchi dominavano il mercato: avevano investito in una tecnologia vincente e raccoglievano profitti elevati. Sembrava un equilibrio stabile. Eppure, nel giro di pochi anni, tutto cambiò.
Una nuova tecnologia fece la sua comparsa: il DVD. Più comodo, con una qualità d’immagine superiore e una durata maggiore, il DVD conquistò rapidamente i consumatori. Le imprese legate alla produzione di videocassette, fino a quel momento dominanti, cominciarono a perdere mercato. In breve tempo, il VHS divenne un ricordo.
Questo episodio, apparentemente banale nella storia della tecnologia, rappresenta in realtà un esempio perfetto di ciò che Philippe Aghion e Peter Howitt (1992) descrivono come “crescita attraverso distruzione creativa”.
Nel loro celebre articolo pubblicato su Econometrica, i due economisti mostrano come il progresso tecnologico si realizzi grazie a un processo di innovazioni successive, ciascuna delle quali crea nuovo valore economico ma rende obsoleto quello precedente.
“Ogni nuova innovazione sostituisce una vecchia tecnologia, rendendo obsoleta l'innovazione precedente." (Aghion, P., & Howitt, P. (1992). A model of growth through creative destruction. Econometrica, 60 (2), 323–351, p. 324)
In altre parole, la crescita economica nasce da un ciclo continuo di creazione e distruzione, in cui l’innovazione è insieme motore di sviluppo e forza destabilizzante. È “creativa” perché introduce nuovi prodotti, nuove imprese e nuove opportunità; ma è anche “distruttiva” perché elimina ciò che non è più competitivo.
Questo approccio si inserisce nella tradizione teorica di Joseph A. Schumpeter (1942), il quale, in “Capitalism, Socialism and Democracy”, descrive il capitalismo come un sistema dinamico, fondato su un incessante processo di rinnovamento. Scrive Schumpeter:
“Il processo di distruzione creatrice è il fatto essenziale del capitalismo. È in esso che consiste il capitalismo stesso.” (Schumpeter, J. A. (1942). Capitalism, Socialism and Democracy. New York: Harper & Brothers.1942, p. 83)
La riflessione di Aghion e Howitt prende dunque avvio da questa intuizione schumpeteriana, ma la trasforma in una vera e propria teoria economica della crescita endogena. A differenza dei modelli neoclassici di Solow (1956), in cui il progresso tecnico era un elemento esterno e “dato”, qui l’innovazione nasce dall’interno del sistema economico, grazie agli investimenti delle imprese in ricerca e sviluppo e agli incentivi legati ai profitti futuri.
Ogni impresa può, in teoria, tentare di innovare. Chi riesce per primo a introdurre una tecnologia più efficiente conquista un vantaggio monopolistico temporaneo, che durerà fino a quando un’altra impresa non scoprirà qualcosa di ancora migliore. Quando ciò accade, la nuova innovazione “spazza via” la vecchia, distruggendo i profitti del precedente monopolista e sostituendolo sul mercato.
Aghion e Howitt descrivono così un’economia in perpetuo movimento, dove la crescita nasce da una successione di innovazioni che migliorano la produttività e ridefiniscono, di volta in volta, chi produce e chi scompare.
“Il processo di innovazione stimola la crescita sostituendo le tecnologie obsolete con altre nuove e più produttive.” (Aghion, P., & Howitt, P. (1998). Endogenous Growth Theory. Cambridge, MA: MIT Press.p. 4)
Il passaggio dal videotape al DVD, e poi dallo streaming digitale al supporto fisico, è una perfetta rappresentazione di questo meccanismo. Ogni nuova tecnologia rappresenta un salto di efficienza e un progresso per i consumatori, ma comporta anche la distruzione economica di ciò che la precede.
Se volessimo rendere il tutto più intuitivo, potremmo paragonare la crescita economica a una staffetta sportiva. Ogni corridore rappresenta una tecnologia o un’impresa: corre al massimo finché non arriva un altro, più veloce, che prende il testimone — l’innovazione — e continua la corsa. La gara non si ferma mai: il progresso, come la staffetta, è fatto di passaggi di testimone e di ricambi continui.
In questo senso, la crescita economica, secondo Aghion e Howitt, non è un processo armonioso, ma un movimento incessante di distruzione e rinascita, in cui la concorrenza e la creatività umana alimentano la produttività, ma al prezzo inevitabile dell’obsolescenza. È il paradosso del capitalismo moderno: per costruire, bisogna distruggere.
Quando le idee cambiano il mondo: la cultura del progresso secondo Joel Mokyr
Immaginiamo di essere alla fine del Settecento. Un inventore svizzero, Aimé Argand, mette a punto una lampada a olio che brucia in modo più efficiente e illumina molto di più rispetto alle lanterne tradizionali.
Nonostante la validità della sua invenzione, in patria incontra ostacoli: mancano investitori disposti a sostenerlo e istituzioni capaci di valorizzare la novità. Argand decide allora di trasferirsi in Inghilterra, dove trova artigiani competenti, mercanti intraprendenti e una cultura favorevole alla sperimentazione. È lì che la sua invenzione ha successo e in poco tempo si diffonde in tutta Europa.
Questo episodio, apparentemente marginale, racchiude perfettamente l’essenza delle teorie di Joel Mokyr, storico dell’economia e premio Nobel per l’Economia nel 2025. Secondo Mokyr, il progresso tecnologico non dipende solo dalle invenzioni in sé, ma dal contesto culturale e istituzionale che le rende possibili, condivisibili e replicabili. In altre parole, non basta che qualcuno abbia un’idea brillante: serve una società che creda nel valore delle idee.
Le idee come motore della crescita
Nelle sue opere, tra cui The Lever of Riches (1990), The Gifts of Athena (2002) e A Culture of Growth (2016), Mokyr sostiene che la crescita economica moderna nasce da un cambiamento culturale profondo, avvenuto in Europa tra il XVII e il XVIII secolo: la nascita di una “cultura del progresso”, una visione del mondo in cui la conoscenza è considerata cumulativa e migliorabile.
“Modern economic growth depends on a cumulative process of knowledge, in which belief in progress must itself evolve.”(Mokyr, J. (2002). The Gifts of Athena: Historical Origins of the Knowledge Economy. Princeton University Press.)
Per Mokyr, il vero motore della Rivoluzione Industriale non furono solo le macchine o il carbone, ma un nuovo atteggiamento verso la conoscenza. L’Europa illuminista cominciò a pensare che la natura potesse essere compresa, manipolata e migliorata; che il sapere scientifico potesse servire a risolvere problemi pratici; e che diffondere le idee fosse un bene per l’intera società.
In questo senso, Mokyr distingue tra due tipi di conoscenza:
- la conoscenza proposizionale (propositional knowledge), cioè il sapere scientifico, il “perché” delle cose;
- e la conoscenza prescrittiva (prescriptive knowledge), cioè le tecniche, le ricette, i “come fare”.
Quando queste due forme di sapere si incontrano — quando la scienza dialoga con la tecnica — il progresso accelera. Le invenzioni non nascono nel vuoto, ma all’interno di una “infrastruttura cognitiva” in cui studiosi, artigiani e inventori si scambiano idee e migliorano reciprocamente le proprie competenze.
“Useful knowledge and artisanal dexterity were strongly complementary.” (Mokyr, J. (2016). A Culture of Growth: The Origins of the Modern Economy. Princeton University Press.)
È proprio questo intreccio tra teoria e pratica che ha reso possibile il salto tecnologico europeo. La scienza non era più vista come un sapere astratto e elitario, ma come una risorsa utile, capace di generare applicazioni concrete.
Un esempio emblematico: la stampa e la rivoluzione delle idee
Un altro caso che Mokyr cita spesso è quello della stampa a caratteri mobili, una delle innovazioni più decisive nella storia dell’umanità. Prima della stampa, la produzione di libri era lenta e costosa; la conoscenza rimaneva confinata in ambienti ristretti, inaccessibili alla maggior parte della popolazione. Con l’invenzione della stampa, invece, il costo della riproduzione delle idee crollò, e la loro diffusione divenne esponenziale.
Questa trasformazione non fu solo tecnica, ma cognitiva: rese possibile la creazione di un “mercato delle idee”, dove scienziati, filosofi e artigiani potevano confrontarsi, correggersi, migliorarsi a vicenda. In questo senso, la stampa divenne un potente strumento di quella che Mokyr chiama “open science”, una scienza aperta, pubblica e verificabile.
“La conoscenza è un bene non rivale, ma il destinatario sostiene costi di ricerca, trasferimento e verifica.” (Mokyr, J. (2002). The Gifts of Athena: Historical Origins of the Knowledge Economy. Princeton University Press.)
Un bene non rivale è un bene che può essere consumato da più persone contemporaneamente senza che il consumo di un individuo riduca la disponibilità del bene per gli altri.
Riducendo i costi di accesso alle informazioni, la stampa creò un ambiente in cui la conoscenza poteva davvero accumularsi e moltiplicarsi, innescando quel processo di innovazione cumulativa che ha dato origine alla crescita economica moderna.
Dalla storia alla teoria
Joel Mokyr, nelle sue ricerche, non si limita a spiegare come la Rivoluzione Industriale sia avvenuta, ma cerca di capire perché proprio in Europa si sia potuta verificare. Riprendendo l’intuizione di Schumpeter sulla distruzione creativa – vedi nei paragrafi precedenti - , Mokyr sposta l’attenzione dal lato economico a quello culturale: ciò che rende una società innovativa non è solo la concorrenza o la tecnologia, ma la disponibilità a credere nel cambiamento, a vedere il nuovo non come una minaccia, ma come un’opportunità.
In un continente frammentato in tanti stati indipendenti, le idee “eretiche” trovavano rifugio altrove, evitando di essere soppresse. Questa competizione tra istituzioni e la circolazione di intellettuali, libri e invenzioni crearono un “mercato delle idee” aperto, pluralista e fertile.
In sintesi, per Mokyr la crescita moderna nasce là dove le idee possono circolare liberamente, dove la conoscenza è considerata un bene collettivo e dove la fiducia nel progresso diventa parte della mentalità comune.