I dati definitivi sulla crescita dell’economia svizzera nel secondo trimestre sono stati confermati: +0,1% rispetto al trimestre precedente. Ma tralasciando questo dato, in generale, come va l’economia svizzera?
Nell’estate del 2025 la Svizzera si è trovata ad affrontare una duplice pressione sul piano economico e finanziario. Da un lato, i duri dazi imposti dagli Stati Uniti hanno colpito in modo pesante il settore manifatturiero, già in difficoltà, costringendo molte imprese a prendere in considerazione tagli occupazionali, lavoro ridotto e persino il trasferimento di parte della produzione nell’Unione Europea. Più del 30% delle aziende, secondo calcoli elaborati da Swissmem - l'associazione dell'industria metalmeccanica ed elettrica svizzera, ha iniziato a pianificare un riposizionamento oltreconfine, mentre la produzione industriale ha registrato un calo significativo, con ordini scesi del 13% nel secondo trimestre e vendite in flessione per il nono trimestre consecutivo. L’impatto dei dazi, arrivati fino al 39% — il livello più alto imposto a un Paese sviluppato — si somma al rafforzamento del franco, che dall’inizio dell’anno si è apprezzato di oltre il 12% sul dollaro, erodendo ulteriormente la competitività delle esportazioni. Il governo svizzero, consapevole della gravità della situazione, ha avviato negoziati con Washington nella speranza di trovare un’intesa entro ottobre, mentre le imprese chiedono misure concrete per ridurre i costi e consolidare i legami commerciali con l’Europa, che già rappresenta quasi la metà dell’export nazionale.
Parallelamente, anche il settore bancario sta vivendo una fase di trasformazione. A due anni dall’acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS, la domanda di credito si è spostata verso istituti più radicati sul territorio e meno esposti a livello globale. Il vicepresidente della Banca nazionale svizzera ha sottolineato come il sistema bancario elvetico si sia adattato sorprendentemente bene a quello che è stato un vero shock, e come il mercato del credito sia riuscito a rispondere alle esigenze dei clienti nonostante la riduzione degli attori principali.
A tutto ciò la politica monetaria aggiunge un ulteriore elemento di incertezza. Dopo aver tagliato i tassi a zero per contenere la pressione sul franco, la SNB valuta ora l’ipotesi di reintrodurre i tassi negativi, le attese di mercato prevedono un possibile ribasso a -0,25% già nella riunione di settembre. La prospettiva di tassi sottozero riflette la volontà di contenere l’afflusso di capitali rifugio verso la Svizzera, alimentato proprio dall’ondata di dazi statunitensi, ma al tempo stesso genera preoccupazioni tra le banche, che vedono minacciata la loro redditività. Nonostante due mesi consecutivi di inflazione sopra le attese, la crescita dei prezzi resta appena allo 0,2%, segno che il problema principale non è l’eccesso di domanda, bensì le difficoltà strutturali legate al contesto internazionale.
Nel complesso, il Paese appare intrappolato tra le conseguenze di una guerra commerciale che mette sotto pressione l’industria esportatrice e un sistema bancario che cerca di adattarsi alle nuove regole del gioco dopo la crisi di Credit Suisse. Mentre il governo prova a negoziare migliori condizioni con gli Stati Uniti e a rafforzare i legami con l’Unione Europea, la Banca nazionale svizzera si trova a bilanciare la stabilità finanziaria interna con le tensioni generate da un franco forte e da una politica commerciale globale sempre più ostile. Il risultato è un clima di incertezza, in cui imprese e banche sono chiamate a riorganizzarsi per affrontare una fase di profondi cambiamenti, con il rischio concreto che le difficoltà attuali si traducano in ricadute durature per l’economia e per l’occupazione.
Come comportarsi con gli investimenti? Non investire sulla svizzera, né con le azioni, né con le obbligazioni. Il franco è sopravvalutato, anche per la stessa SNB che è impegnata ad indebolirlo. I tassi a zero, combinati con la volontà di indebolire il franco, non rendono in nessun modo appetibili le obbligazioni in franchi.