In Giappone, a settembre, l’indice dei prezzi al consumo — al netto degli alimenti freschi — è cresciuto del 2,9% rispetto all’anno precedente, mostrando un’accelerazione rispetto al 2,7% di agosto. Questa crescita è in gran parte attribuibile all’aumento dei costi energetici e alla riduzione dei sussidi governativi introdotti negli anni passati per attenuare gli effetti della pandemia.
Tra i beni più colpiti, spicca il riso, alimento simbolo della dieta giapponese, il cui prezzo è salito del 49,2%, pur mostrando un lieve rallentamento rispetto al mese precedente. L’inflazione “core”, che esclude i prezzi dell’energia, ha registrato un incremento del 3%, segnale che le pressioni inflazionistiche si stanno diffondendo anche in altri settori dell’economia. Parallelamente, i prezzi dei servizi sono aumentati dell’1,4%, confermando che la dinamica dei costi non si limita ai beni di consumo.
La Banca del Giappone mantiene un atteggiamento prudente. Nonostante l’aumento dei prezzi, l’istituto centrale non sembra intenzionato a rialzare i tassi d’interesse nella riunione del 30 ottobre, temendo di compromettere la fragile ripresa economica. Tuttavia, i mercati prevedono un possibile intervento tra dicembre e gennaio, qualora le pressioni inflazionistiche dovessero persistere.
A livello politico, la nuova premier Sanae Takaichi ha posto la lotta all’inflazione tra le sue priorità. Consapevole dell’impatto che l’aumento dei prezzi ha sul potere d’acquisto delle famiglie e sulla competitività delle imprese, la leader giapponese ha annunciato la preparazione di un nuovo pacchetto economico di sostegno, volto a mitigare gli effetti del caro vita e a rafforzare la fiducia nei consumatori (per approfondire il profilo della nuova premier giapponese, leggi qui).