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La Fed non tocca i tassi

La Federal Reserve lascia i tassi invariati

La Federal Reserve lascia i tassi invariati

Data di pubblicazione 01 febbraio 2018
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La Federal Reserve lascia i tassi invariati

La Federal Reserve lascia i tassi invariati

Nulla di fatto alla Banca centrale Usa

La Federal Reserve, la Banca centrale Usa, non ha messo mano alla sua politica monetaria, come d’altronde era ampiamente atteso. I tassi – fermi in un valore compreso tra l’1,25% e l’1,5%, la riduzione del bilancio – cioè dei bond in pancia alla Fed - e le dichiarazioni ufficiali che hanno accompagnato la riunione – che era anche l’ultima per il governatore uscente Yellen, non sono infatti stati cambiati rispetto alle precedenti riunioni.

Il mercato non ha avuto grosse reazioni a queste decisioni, anche perché già sconta i tre rialzi indicati dalla stessa Fed per tutto il 2018. Il primo di questi tre rialzi avverrà a marzo, con il mercato che sconta una probabilità dell’83% che questo avvenga.

L’unica variazione sui mercati, temporanea però, perché poi l’effetto è andato annullandosi, si è avuta quando la Fed si è detta ottimista circa l’inflazione e quando ha affermato che le pressioni inflattive sui slari sono salite negli ultimi mesi. Questo ha fatto andare in rosso lo S&P 500, che poi ha recuperato chiudendo in rialzo, ha fatto alzare i rendimenti dei titoli di Stato Usa a 10 anni e aumentare le probabilità di un quarto rialzo dei tassi in questo 2018, quindi uno in più rispetto ai 3 già annunciati. Secondo i futures sui Fed Funds, infatti, le probabilità di un quarto rialzo sono salite dal 16,9% al 21,7%. Giusto un piccolo movimento, dunque, niente da far cambiare le attese di mercato in modo sostanziale.

 WALL STREET PRIMA VA IN ROSSO, POI RECUPERA

S&P 500

 In generale gli ultimi dati macroeconomici sono coerenti con la strategia annunciata dei tre rialzi, che sono già incorporati all’interno delle attuali quotazioni di mercato. Questo significa che le decisioni future della Banca centrale Usa potranno avere grossi impatti sui mercati solo e solamente se devieranno da questo percorso: cioè se i rialzi dei tassi saranno maggiori o più repentini rispetto a quanto atteso. Questo però potrà avvenire solo se l’impatto della riforma fiscale farà aumentare la crescita economica e calare la disoccupazione più del previsto. In generale la Fed, pur avendo ritoccato al rialzo le stime di crescita nella riunione di dicembre, non si attende una crescita decisa del Pil Usa tale da far crescere in maniera vigorosa l’inflazione. Le basse aspettative di inflazione, unite anche all’appiattimento della curva dei rendimenti dei titoli di Stato Usa (vedi di seguito), portano a far ritenere che i tassi non subiranno deviazioni significative dal tragitto tracciato dalla Fed: viene dunque confermato il nostro consiglio sul dollaro.

I RENDIMENTI DEI TITOLI DI STATO SALGONO, POI CI RIPENSANO

 Treasury bond 10 years

LA CURVA DEI TASSI E LA SUA INCLINAZIONE

Normalmente si richiede un rendimento maggiore quando si acquistano Treasury, i titoli di Stato americani, a 10 anni rispetto a quelli con scadenza a 2 anni. La differenza tra il rendimento del decennale e di quello a 2 anni fornisce la pendenza della curva dei tassi. La maggior pendenza dipende in parte da quanto alta si attende la crescita economica, l’inflazione e dall’andamento futuro della politica sui tassi della Fed. Se la curva va appiattendosi, cioè se i rendimenti dei Treasury a 10 anni e quelli a 2 anni vanno allineandosi, allora la differenza tra i rendimenti va azzerandosi e quindi anche la pendenza (vedi grafico). È quello che sta succedendo proprio ora, fatto che segnala aspettative di bassa inflazione e crescita: tutte cose che per il momento fanno da zavorra al dollaro.

 
 
 
 
 
 
 
 

Pendenza yield curve Usa

 
 
 
 
 
 
 
 

N.B. Le aree in grigio rappresentano le recessioni dell'economia Usa