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Il carovita morde i freni: che cosa fare?

Il carovita morde i freni

Il carovita morde i freni

Data di pubblicazione 15 novembre 2021
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Il carovita morde i freni

Il carovita morde i freni

Nell’ultimo anno i prezzi delle materie prime sono saliti molto e ciò ha un impatto negativo sull’inflazione. C’è da temere per il futuro? Secondo la Bce (e secondo noi) no.

Dopo anni di assenza, ecco che l’inflazione è un tema che torna di attualità. A spingere il rincaro di beni e servizi per i consumatori è soprattutto l’impennata dei prezzi di alcune materie prime (vedi tabella). In primis abbiamo quelle energetiche, con il petrolio cresciuto di oltre il 60% da inizio anno e il gas più che triplicato, ma anche i metalli industriali (rame, zinco, alluminio…) han dato un forte contributo. Il fenomeno è noto alla Bce, il cui compito è di tenere a bada il carovita con una crescita media dei prezzi non oltre il 2%, ma nel lungo periodo. Lo scorso 28 ottobre in conferenza stampa la presidente della Bce Lagarde è stata chiara: l’inflazione è in crescita, principalmente a causa dei rincari dei beni energetici, ma anche della ripresa della domanda che supera l’offerta, condizionata da tali vincoli. Prevediamo che l’inflazione salga ulteriormente nel breve periodo, per poi scendere nel corso del prossimo anno. In soldoni: niente panico, i prezzi torneranno sotto controllo da qui al 2022. È vero? Ovviamente solo il tempo può dirlo, ma sul mercato serpeggia un certo scetticismo. Ma vediamo gli effetti dell’inflazione.

È giustificata la posizione della Lagarde che si attende che l’inflazione europea rientri nei ranghi? Noi al momento siamo ancora fiduciosi e le nostre stime sono ancora molto basse con una inflazione europea attesa all’1,5% per il 2022 e all’1,4% nel 2023, per poi risalire al 2% negli anni successivi. Si tratta, tra l’altro, di un dato che abbiamo rivisto al rialzo proprio un mese fa, quando per il 2022 ci attendevamo ancora un’inflazione all’1,3% e dal 2024 in poi ci aspettavamo che toccasse mediamente solo l’1,8%.

I VOSTRI SOLDI VALGONO MENO

In eurozona a ottobre il dato del balzo dei prezzi è stato pari al 4,1%. Vuol dire che oggi con 100 euro si comprano beni e servizi che un anno fa si acquistavano con “soli” 96,06 euro. Siamo tutti meno ricchi.

I RINCARI DELLE MATERIE PRIME
Materia prima 1 mese 3 mesi Da inizio anno A 1 anno A 3 anni A 5 anni
Petrolio 0,1% 5,4% 61,9% 110,9% 1,8% 51,4%
Gasolio 5,7% 14,9% 75,2% 126,4% 7,2% 53,3%
Gas naturale -32,5% 61,5% 212,7% 328,3% 155,8% 245,6%
Oro 1,1% -0,1% -1,0% -4,9% 43,1% 32,1%
Argento 11,7% -3,5% -4,2% 2,3% 63,9% 28,1%
Alluminio -4,7% 6,7% 44,9% 47,4% 36,9% 47,8%
Rame 9,8% 3,6% 33,8% 47,2% 59,1% 91,9%
Nickel 9,1% 2,5% 24,9% 30,2% 67,6% 77,5%
Zinco 16,0% 16,6% 33,5% 38,0% 32,3% 33,1%
Cacao -4,6% 7,0% 7,4% 13,1% 8,5% -13,4%
Cotone 8,9% 32,4% 60,7% 71,9% 46,3% 55,6%
Carne di maiale -7,7% -8,4% 15,1% 20,8% 17,9% 36,4%
Bovini vivi 6,9% 8,1% 19,0% 22,4% 7,5% 22,1%
Succo di arancia -9,0% -7,1% 3,7% 8,3% -12,4% -45,4%
Soia -0,4% -5,1% 0,8% 19,1% 43,6% 17,0%
Zucchero -5,1% 10,3% 31,5% 35,1% 43,0% -15,4%
Granoturco 6,4% -11,8% 18,9% 40,1% 60,3% 52,0%
Grano 8,4% 12,8% 29,6% 31,7% 48,9% 71,4%
Riso -11,7% -14,9% -29,4% -33,5% 1,3% -25,9%
NB: Dati a fine ottobre 2021 in euro.

Per la verità il dato italiano è un po’ più basso (“solo” 2,9% di inflazione), ma utilizziamo comunque quello europeo perché è il più adatto a ragionare quando si parla di titoli finanziari che in genere guardano al carovita di tutto il continente e non solo a quello del Bel Paese. Bene, l’impoverimento di tutti noi di circa 4 euro ogni 100 che abbiamo nel materasso non è stato l’unico problema. Il problema è che dal punto di vista finanziario le nostre possibilità di recuperare questa perdita con i nostri investimenti senza correre rischi è stata problematica. Si sa che se uno ha a disposizione un orizzonte temporale lungo, può anche rischiare con le azioni. E queste, a livello mondiale in un anno sono cresciute del 36%. Ciò significa che se un anno fa avevo 100 euro investiti in azioni, oggi ne ho 136, che tolte le tasse del 26%, sono 126,64 euro che, considerata l’inflazione hanno il potere d’acquisto di 121,65 euro di un anno fa. Insomma, mi è andata bene e ci ho guadagnato. Se avevo, però, un orizzonte temporale breve, e quindi un profilo d’investimento più prudente e avevo messo i miei soldi in titoli di Stato la cosa non mi è andata altrettanto bene. In un anno i titoli di Stato europei hanno perso mediamente il 4,5%, il che significa che 100 euro mi sono diventati 95,5, che per via del carovita comprano beni solo quanto 91,74 euro di un anno fa. Un po’ meglio è andata ai titoli societari che han guadagnato in un anno 10 centesimi di euro ogni 100 euro (e quindi con l’inflazione siamo a circa 96 euro di un anno fa). Ma, insomma anche qui non si ride affatto e si è decisamente più poveri.

Gli unici bond di emittenti affidabili che hanno retto, guarda un po’, sono stati i titoli di Stato indicizzati all’inflazione, quelli che restituiscono all’investitore il carovita. In un anno hanno messo su mediamente il 6,8%, cioè 100 euro sono divenuti 106,8 che tolte le tasse (il 12,5% sui titoli di Stato) sono 105,95. Tolta l’inflazione abbiamo il potere d’acquisto di 101,78 euro di un anno fa. Insomma, di poco, ma siamo in guadagno.

Quali sono questi titoli indicizzati?

Ve ne sono grosso modo due tipologie. Iniziamo dalla prima, quella di cui fanno parte i nostri BTPi e gli analoghi titoli francesi OaTei e OaTi, e i tedeschi Bundei: si tratta di obbligazioni che da un lato danno cedole che nel tempo crescono seguendo il ritmo dell’inflazione e da un altro lato alla fine ti danno indietro il capitale rivalutato in base al carovita. Prendiamo l’esempio di un titolo indicizzato all’inflazione che dà l’1% di cedola annua e che dura 10 anni. Significa che all’inizio lo si compra a 100 euro e poi ogni anno ti dà 1 euro di cedola. Se c’è inflazione la cedola cresce col tempo. Con un 2% d’inflazione annua dopo 10 anni sarà salita da 1 euro a 1,22 euro. Ugualmente il capitale restituito dopo 10 anni non sarà più di 100 euro, ma di 121,9 euro (calcolato secondo la stessa formula vista prima).

IL PANE CORRE DI MENO

 Secondo l’Istat l’accelerazione del carovita in Italia a ottobre è dovuta al costo dell’energia (+22,9%), mentre i beni alimentari lavorati sono cresciuti dell’1,4%, certo più in fretta del dato rilevato a settembre (+1%), ma in misura inferiore all’energia. L’inflazione al netto del costo dell’energia è comunque rimasta stabile a +1,1% di settembre. Qui la rilevazione completa: https://www.istat.it/it/archivio/263018.

La seconda tipologia di prodotti indicizzati all’inflazione sono i BTp Italia che, anziché restituirti alla fine un capitale maggiorato, ti danno ogni anno l’inflazione maturata, sia sul capitale, sia sulla cedola all’interno della cedola. I BTp Italia sono indicizzati all’inflazione italiana, BTPi, OaTei e Bundei a quella europea, OaTi a quella francese.

ATTENZIONE AL TIPO DI TASSO

Un conto sono i tassi d’interesse “nominali”, quelli che vedi chiaramente quando compri un bond o quando apri un conto deposito. Un conto sono quelli “reali” che sono pari a quelli “nominali”, ma depurati dall’inflazione. Per esempio, chi a ottobre 2020 avesse investito 10.000 euro sul conto deposito a un tasso dell’1% (0,74% netto), tolte le tasse e nell’ipotesi di non pagare il bollo, ora avrebbe in mano 10.074 euro. Con l’inflazione italiana al 2,9% varrebbero 9.790,09, con un rendimento “reale” quindi di -2,1% (è il risultato di 9.790,09/10.000-1).

Vale la pena comprarli?

I bassi tassi d’interesse sui titoli di Stato gravano anche queste tipologie di titoli, i cui rendimenti sono su livelli storicamente bassi e questo, tenuto conto anche della tassazione, non li rende particolarmente competitivi. Certo una fiammata dell’inflazione potrebbe spingere i loro prezzi verso l’alto, ma preferiamo allora suggerirti di mettere qualcosina sull’oro in chiave anti inflazione con l’Etc Invesco Physical Gold (157,5 euro; Isin IE00B579F325). Te ne abbiamo parlato di recente in AF 1436. Puoi dedicargli fino al 10% del tuo denaro come investimento extra portafoglio

I tassi d’interesse sui titoli di Stato europei con massima affidabilità AAA sono negativi fino a scadenze di 25 anni (dopo sono praticamente a zero). I tassi sulla media generale dei titoli di Stato europei (eccellenti e meno buoni) sono sottozero fino a scadenze di 8 anni, ma non vanno oltre lo 0,9% (lordo!) anche su scadenze di 30 anni.

In Altroconsumo Finanza n° 1403 ti avevamo segnalato l’Etf Lyxor euro government inflation linked bond (173,64 euro; Isin LU1650491282). Allora quotava 160,87 euro: è un balzo in avanti del 7,9%, più di quello compiuto quando ne abbiamo riparlato in AF n° 1429. Se lo avevi comprato, è il momento di venderlo.