L’inflazione fugge via

Analisi
Analisi
Nella zona euro iniziano a farsi sentire le paure e le preoccupazioni. A marzo, infatti, l’indicatore del clima economico è sceso di 5,4 punti a 108,5, facendo peggio delle attese che prospettavano un dato a 109 punti. Il calo è stato principalmente imputabile al crollo della fiducia dei consumatori, ma è stato accompagnato da marcate perdite anche nel commercio al dettaglio e nella fiducia nel settore dell’industria. La flessione nella fiducia dei consumatori riflette il peggioramento delle aspettative delle famiglie sulla situazione economica generale del loro Paese, ma anche nelle valutazioni sulla propria situazione finanziaria, scese al minimo storico. Le intenzioni dei consumatori di effettuare acquisti importanti e la loro valutazione della loro situazione finanziaria passata sono poi scese ai minimi di 13 e 11 mesi. Sono tutte indicazioni molto importanti e potenzialmente negative per l’economia: se un consumatore è meno ottimista sulla sua posizione finanziaria, tenderà a spendere meno, e infatti le intenzioni di effettuare spese importanti sono scese. Significa che i consumi sono destinati a contrarsi, con un conseguente rallentamento del Pil.
Lo yen ha sofferto la scorsa settimana, cedendo lo 0,9% (ne servono 135,35 per fare un euro), come puoi leggere nella nostra analisi sulle motivazioni legate alla debolezza della valuta nipponica.
Il sentimento europeo
La linea in grassetto rappresenta il sentimento economico (scala sinistra), la linea intermedia la fiducia dei consumatori e quella sottile la fiducia dell’industria (per queste ultime due la scala è quella destra).
I tassi euro
I tassi nella zona euro hanno conosciuto una netta accelerata al rialzo negli ultimi sei mesi.
In tutto questo va poi tenuta d’occhio l’inflazione. A marzo il dato preliminare parla di un +7,5% annuo, superiore al 6,6% delle attese e al 5,9% di febbraio. Il persistere di un carovita elevato peserà sui consumi delle famiglie, che si ritroveranno con un potere d’acquisto ridotto. Sono tutti fattori che fanno prevedere un rallentamento della crescita nella zona euro. La Bce si trova, di conseguenza, in una situazione non facile, perché deve tenere conto dei rallentamenti dell’economia e delle incertezze legate al contesto geopolitico, ma dall’altro deve anche controllare che l’inflazione, già alta, non vada alla deriva. Sono due obiettivi che richiedono due approcci opposti in termini di politica monetaria e a Francoforte si dovrà trovare un equilibrio in una situazione così particolare. Le attese vanno però in un senso: a meno di eventi catastrofici, entro fine 2022 arriverà un rialzo nei tassi, stando alle aspettative di mercato.
Per quanto riguarda i tassi sul mercato, stanno già reagendo: come vedi nel grafico, se tra i tassi di un anno fa e quelli di sei mesi fa la differenza non è particolarmente ampia, tra il livello dei tassi registrati sei mesi fa e quelli di oggi il divario è ampio. Al momento, quindi, puoi continuare a puntare su titoli di Stato area euro con scadenza breve con Xtrackers II iBoxx Eurzn Gv Bd YP 1-3 (-0,3%) oppure sui bond ad alto rendimento con Amundi high yield liquid (+0,4%).
In Italia l’inflazione è salita al 6,7% a marzo, sopra le attese del 6,4%.
LE VALUTE E I TASSI EXTRA-EURO
L’altra tendenza legata alla zona euro è stata, la scorsa settimana, il rafforzamento dell’euro e così, le valute dei Paesi di cui consigliamo bond nei nostri portafogli hanno perso tutte terreno (con l’eccezione della corona svedese, +0,2%): si va dal -1,5% della corona norvegese, al -0,4% dello yuan. Settimana difficile anche per il dollaro Usa, che ha ceduto lo 0,5% nei confronti dell’euro, mentre sui mercati obbligazionari i tassi sono saliti sulle scadenze brevi e scesi su quelle a 10 anni, con il risultato che ora il titolo decennale rende meno di quello a due anni: l’inversione della curva dei tassi è vista come un indicatore di una possibile recessione, ma come detto la scorsa settimana (vedi n° 1456), in questo caso l’attuale forma della curva è dovuta alla politica monetaria della Fed, più che a possibilità di recessione. Un graduale appiattimento era quindi inevitabile e una leggera inversione è spiegabile col fatto che i mercati anticipano un rallentamento dell’economia, a causa della fine degli stimoli e dei problemi legati alla produzione, ma anche della guerra in Ucraina che, attraverso i prezzi delle materie prime, pesa sul potere d’acquisto del consumatore Usa.
Attenzione, parliamo di rallentamento, non di recessione, per l’economia Usa. Le attese di crescita sono infatti per un +2,7% per il Pil 2022 degli Usa. Il mercato del lavoro si sta avvicinando alla piena occupazione e i salari degli americani sono in aumento. Di conseguenza, la domanda privata rimane robusta – i consumi sono un pilastro del Pil a stelle e strisce (www.altroconsumo.it/investi/investire/mercati-e-valute/ultime-notizie/2022/04/mercato-lavoro-usa).
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