La settimana delle obbligazioni: Cina a due velocità, tassi tra conferme e ritardi e Sol Levante in panne

La settimana delle obbligazioni
La settimana delle obbligazioni
Il percorso dell'inflazione per rientrare verso gli obiettivi delle diverse Banche centrali, che per Bce e Fed è rappresentato dal 2% annuo, si prospettava accidentato, cioè ci si attendeva che non sarebbe stato lineare, ma si sarebbero avuti un susseguirsi di dati che potevano essere migliori o peggiori delle attese a seconda dei casi. Questo è anche uno dei motivi per cui le Banche centrali si focalizzano non sul singolo dato di un mese, ma sulla tendenza più generale e perché cercano di raccogliere più dati che le rendano sicure del fatto che sia veramente in atto un processo disinflattivo.
USA: BOCCATA D’OSSIGENO, MA PIANO CON GLI ENTUSIASMI
Rincorrere il singolo dato rischia di far perdere la visione più generale di come stanno andando le cose all'interno dei singoli Stati: ne è un esempio l'inflazione degli Stati Uniti. Il carovita ad aprile, a livello annuo, si è attestato al 3,4% dal 3,5% di marzo, in linea con le attese. Il dato mensile pari allo 0,3% è stato, però, inferiore alle attese che puntavano su +0,4%. In linea con le attese è anche il dato sull'inflazione di fondo, che si è attestata al 3,6% in rallentamento dal 3,8% di marzo. Si è trattata di una boccata d'ossigeno per i mercati e anche per la Fed, ma nulla di più: il dato di aprile non è in grado di spostare gli equilibri in fatto di tassi di interesse. I dati vanno, come dicevamo, guardati nella loro interezza e allargando l’orizzonte di analisi, si scopre che ad aprile negli Stati Uniti i prezzi alla produzione sono cresciuti più delle attese. Le pressioni inflazionistiche, quindi, permangono e lo stesso governatore della Fed, seppur dicendosi soddisfatto degli ultimi dati, ha anche ripetuto che ha bisogno di più tempo per convincersi che l'inflazione stia effettivamente scendendo. In termini pratici la Fed a giugno e a luglio non taglierà i tassi di interesse. Con questi ultimi dati è sicuro che entro novembre avrà però tagliato i tassi dello 0,25% se le cose dovessero continuare così. Con dati ancora più positivi può poi prendere quota la possibilità di un taglio a settembre.
EUROZONA: A GIUGNO SI PUÒ FARE
La settimana della zona euro è stata positiva in termini di dati macroeconomici e sono un ulteriore tassello che permette di aspettarsi, ragionevolmente, un taglio nel costo del denaro il prossimo mese. Il dato definitivo sull'inflazione di aprile ha confermato che il carovita nell'eurozona è al 2,4%, mentre conferme sono arrivate anche dalla crescita economica. Inoltre, la Commissione europea ha aggiornato le stime su crescita ed inflazione (Italia compresa), pressoché confermando quello sul Pil, ma rivedendo al ribasso quello sull’inflazione. Nella zona euro il carovita è in fase di rallentamento e sta convergendo verso il 2% obiettivo che dovrebbe essere raggiunto entro il 2025. Dalla stessa Bce fanno sapere che è possibile con questi dati procedere con il primo taglio dei tassi a giugno e quindi ad oggi l’esito della prossima riunione sembra deciso, sempre che nel frattempo non arrivino sorprese negative, data la situazione del contesto globale. Non è, invece, probabile un secondo taglio nei tassi già nella riunione di luglio.
NORVEGIA: E SE SI SLITTASSE AL 2025?
L'economia norvegese ha chiuso il primo trimestre con un progresso dello 0,2% rispetto al trimestre precedente. La Norvegia dimostra una buona resilienza in termini di attività economica e questo, unito ai dati sull'inflazione in calo meno del previsto (vedi n° 1559), sta portando i mercati a ragionare se alla fine il taglio dei tassi d’interesse arriverà in questo 2024 oppure sarà addirittura rinviato al 2025. Dato l'andamento dell'economia, la forza del mercato del lavoro e l'andamento della corona norvegese più debole di quanto previsto dalla Banca centrale, le pressioni sui costi rimangono alte. Per cui, se per la Norges Bank l'idea era di alzare i tassi a fine 2024, l'attuale contesto potrebbe anche portare a far slittare al 2025 la prima riduzione del costo del denaro.
GIAPPONE IN PANNE
Il dato che arriva dal Giappone sull'andamento dell'economia del primo trimestre è stato decisamente negativo. Il Pil si è contratto dello 0,5% rispetto al trimestre precedente, facendo peggio delle attese che prevedevano un -0,3%. L'aspetto ancora più deludente è la revisione della crescita del quarto trimestre del 2023, che è stata abbassata da 0,1% a 0%, facendo così seguito al -0,7% del terzo trimestre 2023. Sono quindi tre trimestri consecutivi in cui il Giappone non solo non è mai cresciuto, ma in due ha anche visto la sua economia contrarsi. Uno dei maggiori motivi per questo andamento sono i consumi delle famiglie, che anche nel primo trimestre 2024 si sono contratti (-0,7%). Le famiglie giapponesi si stanno confrontando con l'inflazione che per molto tempo non hanno avuto e quindi tendono a risparmiare maggiormente e a limitarsi nei consumi. Gli aumenti salariali che sono stati decisi nei mesi scorsi dovrebbero aiutare a sostenere, in parte, il potere d’acquisto delle famiglie per il 2024, tanto che la Banca centrale giapponese prevede un'annata con un Pil in crescita.
CINA A DUE VELOCITÀ
I dati provenienti dalla Cina per il mese di aprile mostrano che nel gigante asiatico è in atto una ripresa, non estesa però a tutti i settori dell’economia. Le vendite al dettaglio, cioè le spese dei consumatori, non solo sono rallentate e più di quanto atteso dal mercato, ma lo hanno fatto al tasso più lento degli ultimi due anni. La produzione industriale ha invece accelerato più delle attese. Le esportazioni hanno ripreso vigore e la disoccupazione è scesa, ma a fare da contraltare a questi due dati c’è il rallentamento degli investimenti, mentre quelli del settore immobiliare fanno ancora segnare dati profondamente negativi. Insomma, produzione manifatturiera ed esportazioni guidano la crescita, ma la domanda interna e l’immobiliare le fanno da zavorra.
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