Economia circolare: ecco il nuovo pacchetto approvato a Strasburgo
L'eurodeputata Simona Bonafè spiega l'importanza del provvedimento sull'economia circolare da poco approvato a Strasburgo. Uno dei temi che svilupperemo al nostro Festival Ri-generazioni, l’era dell’economia circolare, che si terrà a Milano all’UniCredit Pavilion dal 28 al 30 settembre.
Intervista di Beba Minna
«Il Parlamento europeo a larghissima maggioranza dice sì all'economia circolare. Finisce un lavoro di tre anni, ma sopratutto inizia per l'Europa una sfida.. Fare dei rifiuti non più un costo per i cittadini, ma un valore per l'economia è possibile». Ha twittato così l'onorevole Simona Bonafè, eurodeputata per il Partito Democratico, relatrice del pacchetto sull'economia circolare, subito dopo il voto del Parlamento europeo riunito in plenaria a Strasburgo lo scorso aprile.
Dopo anni di dure trattative, il Parlamento ha così dato il via libera alle quattro direttive pensate per combinare ambientalismo e crescita economica. Sono previste nuove norme e limiti più stringenti per rifiuti, discariche, imballaggi. L'idea è che recuperando le materie prime dai rifiuti, le aziende inquineranno meno e taglieranno nel contempo i costi del processo produttivo. La Commissione prevede risparmi per le aziende, nuovi posti di lavoro e un taglio di 617 milioni di tonnellate di C02 entro il 2035. L'obbiettivo è rendere l'approccio verde conveniente anche per le imprese, creando un nuovo modello di sviluppo, come ha spiegato la relatrice del provvedimento».
Onorevole, cos’è in pratica l’economia circolare e a cosa serve?
«Viviamo in un pianeta nel quale le risorse sono limitate e l’aumento della popolazione è costante. L’attuale modello di sviluppo, basato sull’economia lineare “usa e getta” non regge più. Non regge più economicamente, socialmente e, soprattutto, a livello ambientale. Cambiare modello produttivo si può e si deve. La soluzione si chiama economia circolare. Significa ottimizzare i processi produttivi in ogni loro fase, attraverso l’innovazione, per avere un uso il più efficiente possibile delle risorse e minimizzare la produzione dei rifiuti. In un’economia circolare un prodotto è pensato nel design e nella scelta del materiale per durare, essere riparato e riciclato. Alla fine della sua vita, questo oggetto sarà di nuovo materia prima per un altro prodotto, con benefici per l’ambiente». In altre parole, spiega la deputata alla conferenza stampa che si è tenuta a Strasburgo, i rifiuti si trasformano da “un problema da risolvere, un costo” a “un’opportunità da sfruttare”. «L’economia circolare - continua Bonafè - è un nuovo modello di sviluppo. Quello che oggi buttiamo come rifiuto può diventare materia prima per nuove produzioni. L'economia circolare va intesa come una transizione di lungo periodo, che dovrebbe portare nuovi posti di lavoro e anche aumentare il PIL».
Quali sono i nuovi target?
«In base alla nuova norma almeno il 55% dei rifiuti urbani domestici e commerciali dovrà essere riciclato nel 2025 (oggi siamo al 44%). L’obiettivo salirà al 60% nel 2030 e al 65% nel 2035. Il 65% dei materiali da imballaggio dovrà invece essere riciclato entro il 2025 e il 70% entro il 2030. Il pacchetto Ue limita la quota di rifiuti urbani da smaltire in discarica a un massimo del 10% entro il 2035: questo è un punto nodale, su cui oggi c'è una grande diversità tra gli Stati membri. Oggi l'Italia viaggia intorno al 28%, ma ci sono Paesi messi peggio».
Perché parliamo di economia circolare se poi si tratta solo di rifiuti?
«Si tratta di un passaggio epocale, perché anche se formalmente abbiamo approvato quattro direttive che hanno a che fare con i rifiuti, in gioco c’è molto di più. L’idea su cui sta investendo l’Europa è che si debba cambiare modello di sviluppo. Quello di oggi non funziona più, perché consuma più materie prime di quante l’ambiente sia in grado di rigenerare. L’economia circolare, invece, innesta l’idea che le materie prime le recuperiamo dai rifiuti e le rimettiamo nel ciclo produttivo creando un sistema che chiuda il cerchio e in questo modo lanciamo un nuovo modello industriale sostenibile e preserviamo l’ambiente».
Non sono mancate le critiche, c’è chi sostiene che si poteva fare meglio.
«Non è ancora il livello ottimale - spiega Bonafè - ma sono orgogliosa di averlo portato a casa. Un limite forse è il fatto che finora ci siamo concentrati sui rifiuti urbani, che sono una parte del problema. Questo è un limite della direttiva quadro fin dal suo nascere, infatti in occasione di questa modifica abbiamo chiesto che siano inseriti anche i rifiuti di tipo industriale. In Europa ci sono ancora Stati che conferiscono il 70-80% dei rifiuti in discarica e ci sono enormi differenze a livello locale. Non era facile raggiungere il compromesso del 10%, anche se il Parlamento puntava al 5%. L'obiettivo è tentare di prevenire la produzione di rifiuti, cosa su cui il pacchetto punta molto».
Come si misura la circolarità di un processo produttivo?
«Questa è una delle domande a cui è difficile oggi dare una risposta. Non abbiamo ancora trovato la quadra, siamo all'inizio del processo, ma è un problema che ci siamo posti. Esistono già delle certificazioni a livello europeo, ma resta tutta una serie di questioni irrisolte. Ogni materiale ha caratteristiche diverse. Basti dire che oggi riciclare la plastica (solo una parte tra l'altro) costa di più, anche in termini ambientali, che produrre plastica vergine visto il basso prezzo del petrolio in questo momento. Poi c'è il tema dell'impatto sull'ambiente, lo misuriamo con la pressione sul consumo di materie prime, ma anche con la riduzione di emissioni di CO2».
Cosa cambia in concreto per i cittadini?
«I cittadini potranno acquistare prodotti più sostenibili, che le aziende hanno immesso sul mercato perché le normative lo impongono. L'impresa guarda anche alla domanda dei consumatori, che oggi chiedono questo, e quindi si cercherà di assecondare la domanda dei cittadini. Ecco perché sono convinta che queste diventeranno pratiche virtuose nel giro di non moltissimo tempo. Con i vincoli stringenti sulle discariche, si dovrà investire per riciclare il più possibile».
A Strasburgo si è parlato anche di un possibile impatto sull'occupazione.
«In merito girano diversi studi: quello della Ellen MacArthur Foundation, l’impact assestment della Commissione e il dossier del Parlamento. Sono studi simili, che danno risultati diversi. Se dovessi guardare nel mezzo, direi che sono previsti fino a 500 mila posti di lavoro in più in settori specializzati (la Commissione ne prevede un milione)».
Si parla anche di spreco alimentare.
«È la prima volta che viene introdotto nella legislazione europea l'obbligo di ridurre lo spreco alimentare. Non si tratta solo di un tema economico, ma anche di equità. Va detto, però, che deve essere ancora individuata la metodologia per capire esattamente cosa si intende per spreco alimentare e come calcolarlo. Si tratta comunque di un passaggio importante. Finora c'erano solo impegni politici, oggi abbiamo colto l'occasione per introdurre l'obbligo di ridurre gli sprechi alimentari. In Italia esiste già una legge valida, per noi cambierà poco».
CORRELATI
News ed eventi
- Come conservare correttamente i cibi ed evitare sprechi
- Detersivi ecologici, lo sono davvero?
- Lavatrici e consumi: la giungla delle etichette energetiche
- Ritorna il festival di Altroconsumo 2018: appuntamento a fine mese con Ri-Generazioni
- Economia sostenibile e circolare: che ruolo ha la finanza?
- Car sharing e mezzi pubblici? L'italiano preferisce l’auto
- Economia circolare: ecco il nuovo pacchetto approvato a Strasburgo