Cotone: un investimento morbido?
La produzione mondiale di cotone è concentrata in pochi grandi Paesi: Cina, India, Stati Uniti, Brasile e Australia.
La produzione mondiale di cotone è concentrata in pochi grandi Paesi: Cina, India, Stati Uniti, Brasile e Australia.
Il cotone è una di quelle materie prime che attraversano la nostra vita quotidiana senza farsi notare. Lo indossiamo ogni giorno, lo laviamo, lo consumiamo indirettamente attraverso una filiera industriale lunghissima, ma raramente lo percepiamo come una commodity strategica. Eppure, il cotone è al centro di un mercato globale complesso, dove agricoltura, industria tessile, geopolitica e prezzi dell’energia si intrecciano in modo molto più profondo di quanto sembri.
Capire come funziona il mercato del cotone significa capire perché una T-shirt può costare di più anche se il raccolto è stato buono, perché le decisioni prese a Pechino o a Washington incidono sui prezzi, e perché il petrolio, apparentemente lontano dal mondo agricolo, ha un ruolo decisivo anche nel settore tessile.
Dove nasce il prezzo del cotone
La produzione mondiale di cotone è concentrata in pochi grandi Paesi: Cina, India, Stati Uniti, Brasile e Australia. Questo rende il mercato sensibile sia ai fattori climatici sia alle decisioni politiche. Siccità, piogge irregolari o tempeste possono ridurre le rese, ma altrettanto importanti sono le politiche di sostegno, le scorte strategiche e le quote di importazione, soprattutto nel caso cinese. La Cina, infatti, è al tempo stesso grande produttore, grande trasformatore e grande consumatore di cotone, e può influenzare il mercato globale semplicemente decidendo quando attingere alle riserve o quando aumentare le importazioni.
A differenza di altre colture, però, il cotone non vive solo di agricoltura. Il suo prezzo dipende in modo diretto dalla salute dell’industria tessile mondiale. Quando i consumi di abbigliamento rallentano, come accade nelle fasi di incertezza economica, la domanda di fibra si riduce rapidamente, anche in presenza di raccolti normali. È per questo che il cotone reagisce spesso più ai dati macroeconomici e ai consumi che non alle notizie dai campi.
Cotone e petrolio: una relazione meno ovvia di quanto sembri
Il legame più interessante, e spesso sottovalutato, è quello tra cotone e petrolio. Il cotone non compete solo con altre fibre naturali, ma soprattutto con le fibre sintetiche, in primis il poliestere, che deriva dal petrolio. Quando il prezzo del greggio è basso, produrre fibre sintetiche diventa relativamente economico e l’industria tessile tende a utilizzarle di più, comprimendo la domanda di cotone. Al contrario, quando il petrolio sale, il costo delle fibre artificiali aumenta e il cotone torna competitivo, guadagnando quote di mercato.
Questo meccanismo è particolarmente evidente nella fase attuale, ma in una forma meno lineare di quanto possa sembrare. Nel 2025 i prezzi del petrolio non sono eccezionalmente alti in termini storici, ma la volatilità degli ultimi anni (crollo 2020, picco 2022, correzione successiva) rende più difficile pianificare i costi energetici. Le tensioni geopolitiche, la gestione dell’offerta da parte dell’Opec+ e l’incertezza sulla domanda globale mantengono il prezzo del greggio in una fascia che rende poco prevedibili i costi delle fibre sintetiche. Non è tanto il livello assoluto del petrolio a contare, quanto la sua volatilità: quando l’energia diventa una variabile incerta, l’industria tessile è più tentata di ridurre la dipendenza dalle fibre petrolchimiche e a riequilibrare, almeno in parte, verso il cotone. In questo contesto il cotone non diventa improvvisamente “economico”, ma torna a essere relativamente più competitivo e, soprattutto, più prevedibile per alcune linee produttive. La relazione tra cotone e petrolio spiega perché, in alcune fasi, il prezzo del cotone salga anche senza shock agricoli evidenti: è il riflesso di un riequilibrio tra fibre naturali e sintetiche, guidato dall’energia.
Regole, tracciabilità e nuovi vincoli
Negli ultimi anni, al quadro economico si sono aggiunti vincoli normativi sempre più stringenti. Le normative contro il lavoro forzato e le regole sulla tracciabilità delle filiere stanno ridisegnando il commercio del cotone, soprattutto per i mercati occidentali. Non tutto il cotone disponibile è automaticamente “utilizzabile”: una parte può essere esclusa per motivi legali o reputazionali, riducendo di fatto l’offerta effettiva.
Questo introduce una nuova forma di volatilità, meno visibile ma molto concreta. Anche con una produzione globale adeguata, la fibra che rispetta tutti i requisiti richiesti dai grandi marchi e dai regolatori può diventare relativamente scarsa, sostenendo i prezzi.
Investire nel cotone: attenzione alla complessità
A Milano è quotato al momento un Etc sul cotone: Wisdomtree cotton (1,852 euro al 22/12; Isin GB00B15KXT11). Il cotone è una commodity affascinante perché si trova all’incrocio tra agricoltura, industria e energia. Proprio per questo, però, è difficile da gestire come investimento. Gli strumenti finanziari che replicano il prezzo del cotone si basano sui futures e risentono di volatilità, fattori tecnici e rischio di cambio. Come già visto per soia, cacao e caffè, non si tratta di prodotti adatti a un investimento tranquillo e di lungo periodo.
Il cotone va quindi letto più come un indicatore dello stato di salute del sistema economico globale — consumi, energia, commercio e regole — che come una scommessa semplice sul prezzo di una fibra. Ed è forse proprio questa complessità a renderlo una delle commodity più interessanti da osservare, anche quando sembra restare sullo sfondo.
Se si guarda agli ultimi anni, il cotone ha oscillato per lo più tra circa 60 e 80 centesimi per libbra, pur con picchi eccezionali ben superiori a questa fascia nel 2011 e nel 2022. Oggi il cotone è intorno ai 63/64 centesimi di dollaro per libbra e costa, quindi, poco, ma non è ancora il momento di comprare a occhi chiusi. La produzione USA resta inferiore alla media dopo anni di siccità e riduzione delle superfici coltivate, ma le scorte mondiali elevate, in gran parte concentrate in Cina, contribuiscono a tenere un tetto ai prezzi nonostante la minore offerta USA. Un acquisto potrebbe diventare sensato solo se i prezzi scenderanno ancora un po' sotto i 60 cent, ma è bene ricordare che questo discorso vale in linea teorica, poi bisognerà vedere i motivi, anche perché non è escluso che si scenda pure oltre, e comunque gli spazi per guadagnarci restano comunque limitati. Per ora, la parola d'ordine è prudenza.