Terre rare: l’UE ci prova
Le terre rare sono elementi essenziali in numerosi settori.
Le terre rare sono elementi essenziali in numerosi settori.
Le terre rare e altri materiali critici, come il litio o il cobalto, sono elementi essenziali in numerosi settori: dall’industria automobilistica alle energie rinnovabili, dal settore tecnologico fino alla difesa. Con la transizione energetica e la rivoluzione digitale, il consumo di terre rare è esploso. Dal 2015 ha registrato una crescita annua del 13%.
Contrariamente a quanto il loro nome potrebbe far pensare, le terre rare sono presenti in grandi quantità. Il problema è piuttosto che, per ottenerle, bisogna estrarre volumi importanti di roccia grezza. Inoltre, sono distribuite in modo molto disomogeneo sul pianeta. L’estrazione e la raffinazione delle terre rare sono per di più processi che consumano molta energia, acqua e prodotti chimici.
A partire dalla metà degli anni Ottanta, forte di circa il 40% delle riserve mondiali, la Cina ha fortemente sviluppato la propria produzione. Oggi assicura la maggior parte dell’estrazione e il 90% della raffinazione, grazie a una politica offensiva per garantirsi forniture supplementari di materie prime presso i grandi produttori emergenti. Le imprese cinesi hanno inoltre sviluppato un know‑how ineguagliato che rende la loro produzione imbattibile sul piano dei costi. Questa situazione rende tutte le economie del pianeta dipendenti dalla Cina. È particolarmente il caso dell’Unione europea, la cui produzione di terre rare è limitatissima.
Una dipendenza pericolosa
Che si tratti direttamente di cobalto o litio per la produzione di batterie, o di prodotti a base di terre rare come i magneti indispensabili per fabbricare auto elettriche, turbine eoliche e sistemi di difesa, l’Europa oggi dipende quasi interamente dall’estero per il suo approvvigionamento legato alle terre rare e ai materiali critici.
Questa dipendenza non ha posto alcun problema per decenni. Ma non è più così nel contesto attuale di guerra commerciale strisciante. Controllare la produzione delle indispensabili terre rare è un’arma che la Cina non esita a usare. Per spingere Washington a ridurre i dazi doganali sui prodotti cinesi, Pechino ha così limitato l’export di alcune terre rare e di prodotti tecnologici che le incorporano. Vittime collaterali del conflitto sino‑americano, le imprese europee sono state immediatamente penalizzate. Se le restrizioni cinesi sono state nel frattempo sospese fino al novembre 2026 in seguito a una riduzione dei dazi statunitensi, la loro introduzione ha dimostrato la grande vulnerabilità dell’Europa. Per questo la Commissione europea vuole accelerare il proprio programma per mettere in sicurezza le forniture.
Un progetto ambizioso
Già dal 2023 l’Unione europea si è fissata un obiettivo ambizioso. Entro il 2030 vuole produrre il 10% del proprio fabbisogno, raffinare il 40%, riciclare il 25% e non dipendere per più del 65% da un solo fornitore, mentre oggi la maggior parte degli industriali europei si approvvigiona totalmente in Cina. Questi obiettivi sono stati confermati il 3 dicembre con la presentazione di un piano europeo chiamato REsourceEU. Per conseguirli, la Commissione europea punta in particolare su 47 progetti strategici di estrazione, riciclo e trasformazione dei metalli. L’Unione europea vuole inoltre stabilire partenariati strategici con i paesi produttori di terre rare al di fuori della Cina, come Australia, Canada e Cile. Sarà creato anche un centro europeo per le materie prime critiche, che potrà effettuare acquisti congiunti e costituire scorte di minerali.
Tutte le decisioni prese dalla Commissione europea vanno nella giusta direzione, ma i progetti sono infatti frenati da ostacoli burocratici e da una normativa ambientale rigorosa. I progetti minerari più promettenti, in Svezia, non saranno operativi prima di dieci anni, secondo le stesse ammissioni dei promotori. Anche i fondi stanziati per questi progetti sono insufficienti per competere con le altre grandi potenze economiche. La Commissione europea prevede di spendere 3 miliardi di euro nel corso dei prossimi dodici mesi per rafforzare l’indipendenza dell’Unione europea in materia di materie prime critiche. In confronto, la Cina, che vuole mantenere la propria dominazione nelle terre rare, ha investito 23 miliardi di dollari nel solo primo semestre 2025 per sfruttare le risorse minerarie del Kazakistan.
Opportunità di investimento?
La domanda di terre rare continuerà ad aumentare fortemente nei prossimi anni. Si tratta tuttavia di un mercato molto volatile, perché le quantità scambiate sono relativamente ridotte. Nel 2024, la produzione mondiale complessiva delle 17 terre rare non ha raggiunto le 400.000 tonnellate, contro oltre 20 milioni di tonnellate di rame, per esempio. La messa a regime di un solo giacimento, una piccola domanda aggiuntiva imprevista o decisioni politiche come le restrizioni cinesi all’export possono quindi far oscillare fortemente i corsi, al ribasso come al rialzo. Per questo motivo quando vi abbiamo detto che potevate fare una piccola scommessa sulle terre rare circa due mesi fa abbiamo tenuto a precisare che si tratta di un investimento dai rischi elevati, sia per la volatilità dei prezzi dei metalli rari, sia perché le aziende più giovani del settore potrebbero non essere redditizie, sia perché ci si espone alla Cina e a shock geopolitici e regolatori, sia perché la liquidità del comparto è ridotta, sia perché le quotazioni stavano già salendo. Ciò detto, l’interesse UE per il settore è un tassello in più nel puzzle che va a favore di chi opera con le terre rare per cui vi confermiamo la scommessa sull’Etf VanEck Rare Earth and Strategic Metals (12,144 al 8/12; Isin IE0002PG6CA6) sempre in ottica di lungo periodo e come diversificazione marginale del portafoglio