Settimana scorsa vi abbiamo parlato della Borsa Usa e di alcuni suoi indici. Oggi parliamo di due strategie di investimento, quella cosiddetta growth e quella detta value su cui sono costruite le gestioni di molti fondi.
Per strategia growth si intende una scelta di società il cui prezzo tende a essere più caro delle altre, perché ci si attende che in futuro produrranno più utili: società per cui si è disposti a pagare un sovrapprezzo per avere di più domani. Esempio classico è quello di settori ad alta innovazione come quello tecnologico. I titoli value sono di società più mature, costano meno della media, perché ci si aspetta che in futuro cavalchino meno la crescita.
Esempio pratico: come abbiamo visto i principali titoli del listino Usa sono per quasi un terzo tecnologici, seguiti da finanziari per circa un ottavo, poi beni di consumo ciclici, farmaceutici e comunicazioni (un decimo circa). Se passiamo a una strategia growth il peso dei tecnologici sale e crolla quello dei finanziari, mentre una strategia value vede crescere il peso dei finanziari e cadere quello dei tecnologici.
In soldoni cosa vuol dire? Che un investimento growth è più rischioso di quello puro che a sua volta è più rischioso di un investimento value (se vedi in tabella i mesi di forte perdita dal 1990 a oggi sono più stati più frequenti, così come ci sono state perdite massime più alte e così come il guadagno medio nella metà dei casi è stato lievemente più basso). Tutto ciò è ricompensato, però, da un rendimento medio più alto 1,1% mensile per l’indice growth rispetto al +0,8% per quello value. Meglio allora puntare sull’indice growth? Attenzione: in passato ha fatto rimanere gli investitori in rosso molto più a lungo degli. Prima di tornare sui valori di aprile 2000 dopo il crollo delle dotcom e l’attentato alle torri gemelle ha messo ben 155 mesi là dove l’indice normale ne aveva impiegati solo 79.
Insomma, la durata minima dell’investimento cresce in modo notevole. Per tutti questi motivi ribadiamo la nostra preferenza per investire nell’indice “puro” che ci pare un buon compromesso tra rischio e rendimento. Premesso che un Etf sullo S&P500 vale l’altro, purché i costi non superino lo 0,3%, ti ricordiamo i nostri consigli: Invesco S&P 500, 1.132 euro al 27/2, IE00B3YCGJ38; iShares core S&P, 57,11 euro al 27/2, IE0031442068; Amundi Etf S&P 500, 58,73 euro al 27/2, LU0496786574; Vanguard S&P 500, 108,74 euro al 27/2, IE00B3XXRP09.
ALCUNI DATI DI CONFRONTO |
Indice usato per il calcolo |
Rendimento medio mensile |
Perdita nel mese pese peggiore |
Nel … dei casi non è andato oltre il… |
Rendimento del mese migliore |
Percentuale di mesi in cui ha perso più del 5% |
Percentuale di mesi in cui ha messo su più del 5% |
25% dei casi |
50% dei casi |
75% dei casi |
Indice Msci Usa |
1,00% |
-17,10% |
-1,60% |
1,40% |
3,60% |
13,20% |
15% |
9% |
IndiceMsci Usa value |
0,80% |
-16,00% |
-1,50% |
1,40% |
3,40% |
13,00% |
14% |
7% |
Indice Msci Usa growth |
1,10% |
-18,20% |
-1,50% |
1,30% |
4,20% |
15,30% |
18% |
11% |
Elaborazione sui dati mensili dal 31 gennaio 1990 sugli
indici Msci USA, Msci USA growth e Msci USA value in dollari e inclusi i
dividendi. Fonte dei dati Refinitiv. |