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Nucleare in guerra

nucleare e uranio

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Data di pubblicazione 25 marzo 2022
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nucleare e uranio

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La guerra sta portando diversi Paesi a cercare di smarcarsi dal gas russo e alcuni invocano il ritorno al nucleare. Facciamo il punto sugli investimenti in uranio e nucleare.

Il rialzo del prezzo dell’uranio

Tutti abbiamo evidenti i rialzi del prezzo della benzina, della bolletta del gas e dei prezzi di alcuni beni alimentari. In queste settimane di guerra, però, si è rialzato anche il prezzo dell’uranio, materia prima essenziale per la produzione di energia nucleare: dai 43 dollari alla libbra registrati i 21 febbraio 2022, poco prima dell’invasione russa, si è arrivati, nell’ultima rilevazione disponibile al momento di andare in stampa, a prezzi di 57,5 dollari alla libbra, per un rialzo di ben il 33% in un mese. Per trovare prezzi superiori ai 55 dollari alla libbra bisogna tornare indietro di quasi 11 anni, al novembre del 2011. Qual è la ragione di questa corsa e continuerà?

I prezzi dell’uranio sono pubblicati su base settimanale (ogni lunedì, resi noti il martedì) dalla società UxC. Al momento di andare in stampa gli ultimi disponibili sono dunque quelli al 21 marzo. I prezzi e le variazioni dei prodotti finanziari citati nell’articolo sono invece di giovedì 24 marzo.

Le ragioni dietro la corsa dell’uranio

Le motivazioni dietro il rialzo del prezzo dell’uranio sono due. Primo: l’aumento possibile della domanda per gli investimenti sull’energia nucleare. Diversi sono i Paesi che a seguito della guerra hanno annunciato progetti nel nucleare: il governo britannico vuole portare il peso dell’energia nucleare al 25% di tutta quella prodotta nel Paese dal 16% attuale, il Belgio ha rimandato la chiusura di due reattori nucleari inizialmente prevista per il 2025, mentre lo Stato americano del West Virginia ha cancellato il divieto alla costruzione di nuove centrali nucleari che era in vigore da tanti anni. Secondo: il rischio che le forniture di uranio siano impattate dalla guerra. Il Paese che più produce uranio al mondo è il Kazakistan, le cui forniture, però, prima di raggiungere l’Occidente, passano per lo più da Mosca e San Pietroburgo. Per ora non si registrino problemi: le sanzioni non riguardano il Kazakistan e gli Stati Uniti, che pure hanno deciso di non comprare più il petrolio russo, per ora continuano a comprare uranio dalla Russia. I rischi di una contrazione dell’offerta di uranio, però, permangono – primo su tutti il rischio di un’estensione del conflitto al Kazakistan – e questo non può che spingere al rialzo il suo prezzo.

Si stima che circa la metà dell’uranio utilizzato dagli Usa per far funzionare le proprie centrali nucleari arrivi da Russia, Kazakistan e Uzbekistan (le cui forniture passano principalmente dalla Russia). Se si dovessero bloccare questi flussi, verrebbe a mancare sul mercato una fetta importante di uranio.

Che accadrà al prezzo dell’uranio

Sulla carta il prezzo dell’uranio ha ancora spazio per crescere – all’inizio del 2011 erano stati toccati valori anche superiori ai 70 dollari alla libbra e nel 2007 si erano superati persino i 130 dollari. Del resto la Commissione europea ha dato il via libera affinché l’energia nucleare sia considerata una fonte di energia “pulita”, anche Paesi asiatici (Singapore) e africani (Nigeria) stanno aprendo all’utilizzo del nucleare e gli Stati Uniti stanno andando avanti nella ricerca per lo sviluppo di reattori “di nuova generazione”. Permangono, però anche rischi di un ridimensionamento dei prezzi. Primo: l’opinione pubblica è ancora spesso contraria all’utilizzo di tale fonte energetica e alcuni Paesi come la Germania non hanno alcuna intenzione di fare retromarcia sulla chiusura delle centrali. Secondo: l’inclusione del nucleare tra le energie “verdi” deve essere ancora ratificato dal Parlamento europeo e molti gruppi, che ritengono il nucleare non sostenibile per i rischi e i costi legati allo smaltimento delle scorie, sono già attivi per portare i parlamentari a bocciare la proposta. Terzo: alcuni dei progetti nucleari più importanti in Europa e negli Usa hanno visto i loro costi crescere notevolmente nel corso degli anni rispetto a quanto inizialmente previsto e questo, assieme ai costi per lo sviluppo della tecnologia legato all’arricchimento dell’uranio per i reattori di “nuova generazione”, rischia di scoraggiare il ricorso a questa forma di energia.

I prezzi dell’uranio sono saliti brevemente poco sopra i 50 dollari alla libbra nella seconda metà di settembre 2021. Più i prezzi salgono più alcuni progetti estrattivi diventano interessanti: questo potrebbe determinare un incremento delle estrazioni e dell’offerta che potrebbe poi far ridiscendere i prezzi dell’uranio (sono cicli di alti e bassi comuni per tutte le materie prime).

Il punto sugli investimenti legati a nucleare e uranio

Per tutto quanto fin qui detto, a nostro parere una scommessa finanziaria su uranio e nucleare ancora si può fare, ma è riservata agli speculatori. Il buon padre di famiglia si astenga. Come ti abbiamo detto in passato (vedi n° 1435), non ci sono strumenti finanziari facilmente negoziabili (anche dai professionisti) legati al prezzo dell’uranio. Esiste un fondo, Sprott physical uranium (18,77 dollari canadesi; Isin CA85210A1049) che compra reali partite di uranio che poi custodisce nei suoi magazzini e che sarebbe l’ideale: in questi giorni è andato benissimo, salendo del 34,3% (40,5% in euro) rispetto ai prezzi precedenti allo scoppio della guerra (il riferimento è sempre al 21 febbraio), ma non è facile da acquistare – è quotato solo sulla Borsa di Toronto e poi è un fondo con complicazioni fiscali. Si può comprarne una fettina attraverso l’Etf North Shore global uranium mining (85,45 Usd; Isin US3015057157), che si compra più facilmente a New York e, oltre a investire su società legate all’estrazione dell’uranio, dedica una bella fetta del patrimonio proprio al fondo Sprott physical uranium. Dal 21 febbraio è salito del 32,3% in dollari Usa (+36,2% in euro). Merita una scommessa, ma attenzione: è un Etf non armonizzato, quindi avrai complicazioni di natura fiscale (dovrai inserire i guadagni in dichiarazione dei redditi e pagare sugli stessi una tassazione allineata alla tua aliquota marginale Irpef). Per evitare queste complicazioni fiscali abbiamo due soluzioni alternative per te.

Rispetto alla nostra prima analisi di novembre 2021, il prezzo del fondo Sprott physical uranium è sopra del 31%, circa +37% in euro: come vedi il rialzo è legato tutto alle ultime settimane di guerra, prima invece c’erano stati dei cali che avevano pesato sul prezzo delle azioni di alcune società del settore. Alcune non si sono ancora riprese e per questo dal primo consiglio il rialzo dell’Etf North Shore global uranium mining è solo del 7,4% (in euro e dividendi inclusi). Dal secondo consiglio di gennaio 2022 (vedi n° 1446) il guadagno è del 22%.

Le azioni dell’uranio

La prima è quella di puntare in modo secco su un titolo azionario di una società che estrae e produce uranio: è più rischioso rispetto all’Etf, ma non avrai problemi fiscali. Avevamo indicato due società papabili per una scommessa. La prima era la Kazatomprom (29,55 Usd; Isin US63253R2013), la società di Stato kazaka attiva nell’estrazione dell’uranio. Nonostante il rialzo dei prezzi della materia prima, le azioni dal 21 febbraio hanno perso il 9,6% (7% in euro) in Borsa. Il gruppo ha detto che non ci sono stati impatti sulla sua attività per la guerra, ma il mercato evidentemente teme un’espansione del conflitto che possa compromettere le attività di estrazione e di vendita del gruppo. Sono rischi che, effettivamente, non si possono ignorare e, per quanto difficilmente l’Occidente potrà fare a meno dell’uranio kazako, non ti consigliamo, in questo momento, di acquistare queste azioni, ma di limitarti a mantenere quelle che già hai in mano. In ogni caso, comprare azioni della Kazatomprom non era così facile, per questo come alternativa ti avevamo suggerito le azioni della canadese Cameco (36,34 dollari canadesi; Isin CA13321L1085): queste, invece, sono andate benissimo, salendo dal 21 febbraio di circa il 41%, che diventa +47% in euro. Non solo il gruppo ha approfittato pienamente del rialzo dei prezzi della materia prima, ma ha anche beneficiato del possibile incremento della domanda che potrebbe ricevere in caso le sanzioni limitassero le attività del Kazakistan. Non per nulla il gruppo ha iniziato a riattivare l’attività in alcuni siti che aveva mantenuto chiusi nel corso degli ultimi anni. Le azioni meritano ancora un acquisto, ma attenzione: il gruppo ha chiuso ancora il 2021 in perdita e le azioni non hanno indicatori di convenienza particolarmente allettanti.

Un certificato sul nucleare anche Piazza Affari

La seconda soluzione alternativa è rappresentata da un certificato che punta su società del settore nucleare, che dallo scorso 4 febbraio è possibile acquistare anche su Borsa Italiana. Si tratta dello Strategic Certificate su Vontobel Nuclear Energy Index (137,80 euro, Isin DE000VX58615). L’emittente è Vontobel Financial Products. L’indice sottostante è costituito da 25 società operative nel settore dell’energia nucleare, sia di Paesi sviluppati, sia di Paesi in via di sviluppo. Sono però escluse, indipendentemente dal Paese d’origine, le società oggetto di sanzioni in ambito internazionale e quelle legate in qualsiasi modo allo sviluppo o produzione di armi nucleari. Le aziende sono operanti nell’estrazione dell’uranio e nella produzione di energia nucleare e selezionate in base alla loro capitalizzazione di mercato. La composizione finale dell’indice non è fissa, ma viene adeguata ogni sei mesi. I dividendi e i proventi dei titoli che rientrano nell’indice vengono reinvestiti, quindi il certificate non stacca dividendi. Dal 21 febbraio, questo certificate ha guadagnato il 42,2%, un valore dunque molto simile a quello registrato sullo stesso periodo dall’Etf North Shore global uranium mining. Al momento in cui scriviamo, le principali società che compongono l’indice sono l’australiana Alligator Energy (0,096 Aud, Isin AU000000AGE2; non acquistare) e Uranium Energy Corp (5,08 Usd, Isin US9168961038; non acquistare), presente anche nell’Etf North Shore global uranium mining. Cameco occupa il quinto posto. Per quanto riguarda i costi, le commissioni di gestione annue sono pari all’1,25%, non sono previste commissioni legate al rendimento. È un investimento rischioso, che tuttavia può permette, a chi lo desidera, di investire nel settore dell’energia nucleare evitando di concentrare l’investimento su un’unica azione. Inoltre, essendo quotato su Borsa Italiana, è più facile la negoziazione e anche il trattamento fiscale è più semplice, rispetto all’Etf North Shore global uranium mining.

 

Strategic Certificate su Vontobel Nuclear Energy Index

Codice Isin

DE000VX58615

Emittente

Vontobel Financial Products GmbH

Data Inizio Negoziazioni

4 febbraio 2022

Valuta

EURO

Valuta dell’indice

USD

Mercato di Quotazione

SEDEX – Borsa Italiana

Commissioni di Gestione annue

1,25%

 

Per la classificazione delle società papabili il certificate si basa sul sistema di classificazione dell'industria FactSet Revere Business (RBICS). Se non si trovano 25 società che meritino l’inserimento nell’indice, è stabilito che si possano inserire aziende che offrono servizi e tecnologie a questo settore.

Il Paese principale in cui il certificate investe è il Canada, seguito da Australia, Stati Uniti, Sud Africa e Romania. È una buona alternativa all’Etf North Shore global uranium mining per una scommessa sul settore.

E lo iodio?

Come abbiamo detto l’energia nucleare trova non troppi consensi tra la popolazione, spaventata dalle conseguenze di incidenti nelle centrali. Lo dimostra la corsa alle pastiglie di iodio che si è registrata nei giorni scorsi a seguito della paura che la guerra potesse coinvolgere le centrali nucleari ucraine, di Chernobyl su tutte. Ci sono aziende che producono queste pastiglie su cui vale la pena puntare? No. Si tratta di una tecnologia non coperta da brevetto, quindi non c’è una Pfizer della situazione che ha le sue pastiglie che vende in giro per il mondo. Ci sono tante diverse società che le producono e tutte quelle più rilevanti o non sono quotate o sono dei veri e propri enti Statali/militari. E tra le società che estraggono e vendono lo iodio che serve a fare quelle pasticche c’è qualcosa d’interessante? La principale società al mondo è la SQM cilena, le cui azioni sono quotate anche a New York (83,84 Usd; Isin US8336351056). Il gruppo opera anche, per esempio, in quello del litio, e ha beneficiato in Borsa del generale rialzo dei prezzi delle materie prime. Lo ha fatto, però, ben più di quanto non abbiano fatto altre società dello stesso settore: gli indicatori di convenienza del titolo non solo sono peggiori rispetto a quelli medi delle altre società del settore, ma anche rispetto a quelli medi storici della stessa SQM. Considerato che ci si attende per il 2023 una contrazione degli utili del gruppo, il rischio di un ripiegamento delle azioni è, secondo noi, troppo elevato. Ti sconsigliamo, dunque, di acquistare queste azioni. 

Tra le principali società private che producono pastiglie di iodio citiamo Anbex e Recipharm, americane, GL-Pharma, svizzera, Hameln, tedesca, BTG Specialty Pharmaceuticals, britannica. Tra gli enti statali, la Pharmacie centrale des armées in Francia. Attenzione alla corsa alle pastiglie di iodio: vedi qui.