Il Giappone volta pagina

Giappone
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La Banca centrale del Giappone (BoJ), oltre a mettere fine ai tassi ufficiali negativi, ha annunciato anche la fine degli acquisti di ETF azionari, l'abbandono del controllo della curva dei tassi di interesse e del tetto massimo all’1% del tasso di interesse sui titoli di Stato a 10 anni. Una sorta di ritorno alla normalità, che dovrebbe rendere la BoJ una Banca centrale (quasi) come tutte le altre. Ma la Banca del Giappone non si è mossa un po’ troppo rapidamente? In altri termini, l’inflazione resterà davvero vicina ai suoi obiettivi di lungo termine? C’è da dire che non è difficile fuggire dalla deflazione quando il resto del mondo si trova a dover fronteggiare il problema opposto, ossia un’inflazione elevata, il tutto condito da catene di approvvigionamento interrotte o più complicate che in passato e i prezzi dell’energia alle stelle. Però, quasi ovunque, l’inflazione sta tornando a livelli meno preoccupanti e, con i prezzi dell'energia a livelli ormai molto più bassi rispetto a quelli di 2 anni fa, quando la Russia ha invaso l’Ucraina, riuscirà il Giappone a stabilizzare l’inflazione ai livelli attuali?
Cosa sta succedendo nel Paese
Sul piano interno, il principale sindacato giapponese ha ottenuto un aumento salariale del 5% per il 2024, un incremento senza precedenti nel Paese, ma che compensa solo in parte la perdita di potere d’acquisto delle famiglie, i cui salari, per più di un decennio, sono cresciuti molto meno di quelli occidentali. Di conseguenza, malgrado i recenti aumenti salariali, la domanda privata ha un margine di crescita piuttosto ristretto anche perché, con la fine dei tassi d’interesse negativi, il credito sarà (un po’) più costoso.
Dal 1990, con lo scoppio della bolla speculativa che ha provocato il crollo dei prezzi delle attività finanziarie e immobiliari, il Giappone è diventato un vero e proprio banco di prova a livello di politica monetaria. Con tassi di interesse negativi, strategie monetarie espansive come il quantitative easing (QE), riacquisti di attività finanziarie di ogni tipo, controllo della curva dei rendimenti, il Giappone è diventato una “palestra” di politica monetaria. Anche se i risultati non sono stati sempre convincenti, bisogna ammettere che molte di queste misure sperimentate dal Giappone sono state utilizzate un po’ ovunque in Occidente, soprattutto a partire dalla crisi economica e finanziaria del 2008-2009.
Inoltre, in Giappone la popolazione in età lavorativa (tra 15 e 64 anni) è in costante calo: dal picco di quasi 87 milioni a metà degli anni '90, a fine 2023 non raggiunge i 74 milioni e questo è un ulteriore ostacolo alla ripresa dei consumi interni. E la fine dei tassi d’interesse negativi fornirà un certo sostegno allo yen, sottovalutato sui mercati dei cambi: uno yen un po’ più caro conterrà il prezzo dei prodotti importati, frenando l’inflazione che deriva dall’estero. Tutti questi elementi non fanno temere un’inflazione giapponese troppo elevata in futuro e di conseguenza, i tassi ufficiali nipponici, anche se non saranno più negativi, non dovrebbero salire molto di più. Finora il tasso sovrano giapponese a 10 anni non poteva superare il tetto dell’1%. Anche se è illusorio immaginare che un giorno la BoJ smetta di acquistare in modo massiccio il debito giapponese, l'abbandono di questo tetto dell’1% potrebbe consentire ai tassi giapponesi di orientarsi al rialzo e con i tassi americani a lungo termine in calo sul mercato obbligazionario è probabile una riduzione del differenziale di tassi. Il Giappone è adesso il principale acquirente estero del debito americano in una fase in cui molti altri Paesi (Cina, Arabia Saudita, ecc.) sono più cauti. Tuttavia, dei tassi a lungo termine più interessanti nel loro Paese potrebbero incoraggiare i giapponesi a mantenere i propri soldi in patria e ciò sosterrebbe lo yen.
L’andamento dello yen dipenderà da quello che farà sia la Banca centrale americana, sia quella europea: tanto più queste autorità monetarie saranno spinte a ridurre i propri tassi ufficiali, tanto più il divario tra i loro tassi e quelli giapponesi si restringerà, a tutto vantaggio dello yen.
Se la Fed fosse costretta a mantenere alti i tassi ufficiali più a lungo del previsto, manterrebbe lo yen sotto pressione.
La fine dei tassi negativi e degli acquisti di ETF azionari non dovrebbero avere un grande impatto sul mercato azionario ora che la governance delle società giapponesi è in miglioramento e gli investitori internazionali hanno riscoperto il gusto per questo mercato azionario, poco volatile e non troppo caro nonostante la recente salita (Investi 1544).
Un impatto limitato sui mercati
D’altro canto, la fine del controllo sulla curva dei rendimenti da parte delle autorità monetarie potrebbe consentire ai tassi giapponesi a lungo termine di diventare più attraenti. Certo, a priori, poiché a un aumento dei tassi di interesse corrisponde un calo dei prezzi delle obbligazioni esistenti, ciò potrebbe essere una cattiva notizia per chi possiede titoli di Stato giapponesi. Tuttavia, qualsiasi salita dei tassi obbligazionari sarebbe controbilanciata dal crescente interesse per lo yen. E il ritorno della valuta giapponese a livelli più vicini all'equilibrio si tradurrebbe in guadagni a livello di cambio per gli investitori europei. Insomma, tutte queste considerazioni ci spingono a ritenere che questo Paese deve essere presente in un portafoglio ben diversificato: la Borsa del Giappone per il 10% e le sue obbligazioni per il 5% sono perciò presenti in tutte e tre le nostre strategie di investimento. Per la parte azionaria puoi acquistare l’Etf Xtrackers Nikkei 225 (25,48 euro, Isin LU0839027447), mentre per quella obbligazionaria ti consigliamo l’Etf Ubs Bl Jap Treasury 1-3 bd (7,12 euro, LU2098179695).
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