La settimana delle obbligazioni: Jackson Hole e la Fed, cosa faranno Bce, la Norvegia e il Giappone

La settimana delle obbligazioni
La settimana delle obbligazioni
La riunione della Bce si avvicina e nel frattempo sono sempre maggiori i dati a disposizione dell’Istituto di Francoforte per le sue scelte. La scorsa settimana ne sono arrivati diversi, tutti molto importanti. Uno è stato quello sui salari della zona euro, la cui crescita è rallentata, dal 4,7% al 3,6%, nel secondo trimestre: si tratta di una buona notizia in chiave Bce, anche se la crescita dei salari non è da guardare in maniera slegata da altri dati, quali la produttività e i profitti aziendali. Un rallentamento della crescita salariale è positivo, ma si tratta comunque di una crescita ancora sostenuta: per evitare che questa si scarichi sui prezzi, è essenziale che crescano i profitti delle aziende e che la produttività aumenti. Purtroppo, quest’ultima è addirittura scesa: nel secondo trimestre è infatti diminuita dello 0,4%, quando la Bce prevedeva un -0,3%.
Nel primo trimestre il calo era stato dello 0,5%. In questo caso il dato non è positivo in chiave Bce. Dal dato definitivo di luglio dell’inflazione si evince invece che una spina nel fianco continua ad essere rappresentata dall’inflazione dei servizi, che staziona pervicacemente al 4%, rappresentando una forte pressione sui prezzi. A deporre a favore di un taglio c’è però l’andamento dell’economia di eurolandia. I segnali sono che il Vecchio continente rallenta e il Pmi di agosto non deve trarre in inganno. A ben guardare i dati, infatti, il buon dato di agosto è stato solo merito delle Olimpiadi di Parigi. Infatti, l’attività manifatturiera continua ad essere in contrazione, con il rispettivo Pmi che scende ulteriormente, mentre è il settore dei servizi che ha controbilanciato il risultato finale. E chi ha spinto in alto quest’indice? Il settore dei servizi della Francia e dato il peso dell’economia transalpina su quella di eurolandia, ecco il risultato sopra le attese di tutta la zona euro. Questo però significa che passato l’effetto olimpico, i prossimi dati mostreranno una crescita debole. Tirando le somme: a settembre la Bce può prendere in considerazione il secondo taglio dei tassi, ma i dati, che, come visto, sono in parte positivi, in parte negativi, permetteranno solo riduzioni graduali: dunque si procederà, se tutto va per il verso giusto, con revisioni trimestrali.
FED: SETTEMBRE CON TAGLIO DELLO 0,25%
Chi taglierà i tassi nella sua riunione di settembre è la Fed. I mercati ne sono certi da diverso tempo oramai e ora, dopo la pubblicazione dei verbali della riunione tenutasi a luglio, si scopre che anche all’interno della Banca centrale Usa l’orientamento è cambiato. Coerentemente con il suo doppio mandato, la Fed ora guarda con maggiore attenzione al mercato del lavoro che all’inflazione. Per doppio mandato s’intende il doppio obiettivo che la Banca centrale Usa deve raggiungere con la sua politica monetaria: inflazione e occupazione. Dai verbali si evince che in molti in seno alla Fed ritenevano che i recenti progressi sull'inflazione e gli aumenti del tasso di disoccupazione avessero già fornito a luglio la possibilità di tagliare i tassi. Non solo: la stragrande maggioranza ritiene che, se i dati dovessero continuare ad essere come da attese, sarebbe probabilmente opportuno allentare la politica a settembre. E se tutto questo non fosse ancora abbastanza, sono arrivate le parole del governatore Powell, che ha affermato che è “giunto il momento” per un cambio nei tassi. Insomma, il taglio ci sarà, ma dello 0,25%, non dello 0,5%: le paure per una recessione sono rientrate e quindi un taglio “classico” di un quarto di punto è più che adeguato. Tutto questo pesa sul dollaro, tanto che ora ce ne vogliono circa 1,11 per fare un euro, segnando un massimo per l'anno 2024 per l’euro (e quindi di un minimo per il dollaro), ma la valuta verde rimane consigliata.
GIAPPONE: I RIALZI NON SONO FINITI
La Banca centrale giapponese continua a ricordare che se l’economia nipponica e l’inflazione continueranno a muoversi secondo le attese, i tassi continueranno ad essere alzati. Dunque, la Bank of Japan non ha rinunciato ad alzare il costo del denaro, ma ha anche voluto chiarire che non ha fretta: un conto è essere risoluta e decisa a non porsi dei limiti sui rialzi dei tassi se necessari, un conto è prendere decisioni affrettate. La politica della Banca centrale giapponese è comunque chiara: agire sulle aspettative e non aspettare i dati che confermano le attese. Nel frattempo, le cose in Giappone sembrano confermare l’evoluzione del carovita: i prezzi al consumo, escluso il cibo fresco, a luglio sono saliti del 2,7% rispetto all'anno precedente, accelerando dal 2,6% di giugno. Questa impostazione della Banca centrale giapponese, con una tendenza restrittiva rispetto a quella espansiva delle altre Banche, rappresenta un buon segnale per lo yen.
NORVEGIA: IL PIL SPINGE AL TAGLIO?
L’economia norvegese mette a segno un altro trimestre di crescita, ma lo fa deludendo le attese. Il Pil della cosiddetta “economia continentale” – cioè senza tenere conto delle attività offshore petrolifere – è infatti cresciuto dello 0,1% rispetto al trimestre precedente, ma le attese erano per un +0,2%. Al ribasso, sempre a +0,1%, è stato rivisto anche il dato del primo trimestre. L’andamento più lento dell’economia convincerà la Norges Bank a tagliare i tassi in questo 2024?
La domanda è lecita, ma la differenza tra la crescita effettiva e quella prevista non è tale da far modificare alla Banca centrale la propria idea di lasciare i tassi al 4,5% per tutto questo 2024. La debolezza della corona è infatti attualmente la maggior preoccupazione delle autorità monetarie norvegesi. Molto solidi grazie all'invidiabile situazione finanziaria della Norvegia e con un rating AAA, i titoli di Stato norvegesi rimangono interessanti per la diversificazione – così come i bond sovranazionali in corone norvegesi. Esiste inoltre una valuta ampiamente sottovalutata che conserva quindi un interessante potenziale di rialzo.
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