Shutdown e dollaro debole: davvero spingono il Bitcoin?

Sia lo shutdown del governo americano (vedi oltre per una definizione) che la debolezza del dollaro possono, in teoria, favorire il Bitcoin.
Sia lo shutdown del governo americano (vedi oltre per una definizione) che la debolezza del dollaro possono, in teoria, favorire il Bitcoin.
Sia lo shutdown del governo americano (vedi oltre per una definizione) che la debolezza del dollaro possono, in teoria, favorire il Bitcoin, come potete vedere anche cliccando qui sopra sul grafico. Ma la loro influenza non è mai scontata. In alcuni momenti diventano catalizzatori di fiducia, in altri innescano la fuga dal rischio. Il Bitcoin è, infatti, un termometro dell’umore dei mercati: si scalda quando prevale l’ottimismo e si raffredda quando domina la paura. Vediamo, ora che accade nei due casi specifici dello shutdown e del dollaro debole.
Lo shutdown americano: tra paura e rifugio digitale
Quando negli Stati Uniti scatta lo shutdown, il governo si blocca per mancanza di fondi: uffici pubblici chiusi, stipendi sospesi, programmi federali interrotti. Per i mercati è un segnale d’incertezza, e per molti investitori un campanello d’allarme. È in questi momenti che spesso rispunta la domanda: “E se il Bitcoin diventasse il nuovo bene rifugio?”.
L’idea ha una sua logica. In un contesto in cui lo Stato appare fragile, l’attrattiva di una moneta che non dipende da governi o banche centrali aumenta. Bitcoin nasce proprio da una sfiducia nel sistema tradizionale e, in teoria, uno shutdown – simbolo per eccellenza dell’inefficienza politica – dovrebbe rafforzare la sua immagine di alternativa indipendente. Inoltre, nei momenti in cui la macchina pubblica si ferma, gli investitori tendono a spostarsi verso asset percepiti come “protetti” dall’intervento politico, e Bitcoin, con la sua scarsità programmata e la sua natura globale, può sembrare perfetto per quel ruolo.
C’è anche un aspetto più tecnico: durante uno shutdown, le agenzie governative come la SEC (che regola i mercati finanziari) e la CFTC (che vigila sui derivati) rallentano o sospendono la propria attività. Questo blocco può temporaneamente alleggerire la pressione regolatoria su tutto il comparto crypto, soprattutto in momenti delicati come l’approvazione di nuovi ETF o le indagini su exchange e stablecoin. Meno regolamentazione nel breve termine significa, talvolta, più spazio per la speculazione e per i movimenti di prezzo.
Tuttavia, il rovescio della medaglia è altrettanto evidente. In un contesto di forte incertezza politica ed economica, molti operatori preferiscono ridurre l’esposizione agli asset rischiosi (qui un esempio legato al Bitcoin quando sono arrivati i dazi). E il Bitcoin, nonostante la sua narrazione di “oro digitale”, resta un investimento ad altissima volatilità. Se la paura prevale, le vendite aumentano, e quello che poteva essere un rifugio si trasforma in un ulteriore fattore di instabilità.
Un altro effetto collaterale dello shutdown è la paralisi decisionale: le approvazioni regolatorie positive, come l’autorizzazione di ETF spot sul Bitcoin o nuovi strumenti finanziari crypto, vengono rinviate. Questo frena la crescita del settore proprio quando l’interesse degli investitori è più alto. In pratica, lo shutdown può essere una spinta psicologica nel brevissimo termine, ma un ostacolo concreto nel medio periodo.
La verità è che il legame tra shutdown e Bitcoin dipende dal contesto più ampio. Se l’interruzione dei fondi federali viene percepita come una crisi politica di breve durata, Bitcoin può trarne beneficio come “rifugio alternativo”. Se invece si teme un impatto economico più profondo, il mercato si sposta verso asset più sicuri e liquidi. In altre parole, non è lo shutdown in sé a far salire il Bitcoin, ma la reazione emotiva e finanziaria che lo accompagna.
2. Il dollaro debole: benzina o freno per le criptovalute?
Anche la relazione tra il dollaro e il Bitcoin è tutt’altro che lineare. A prima vista, il ragionamento sembra facile: se il dollaro perde valore, il Bitcoin – quotato in dollari – dovrebbe automaticamente salire (è il contrappasso della situazione contraria che abbiamo visto già altre volte). Ma la realtà dei mercati finanziari è più complessa.
Un dollaro debole può effettivamente sostenere le quotazioni del Bitcoin attraverso diversi canali. Il primo è puramente meccanico: essendo espresso in dollari, se la valuta americana vale meno, il prezzo del Bitcoin in USD tende a salire. Ma c’è anche un effetto psicologico e macroeconomico: un dollaro debole spesso si accompagna a politiche monetarie più espansive, tassi d’interesse più bassi e maggiore liquidità nei mercati. In un contesto di denaro abbondante e di rendimenti contenuti, gli investitori cercano alternative più redditizie o non convenzionali. E il Bitcoin, con la sua promessa di indipendenza e il suo potenziale di crescita, rientra perfettamente in questa logica.
C’è poi la componente internazionale: se il dollaro perde forza, le altre valute – come l’euro o lo yen – si rafforzano (qui una riflessione sull’euro digitale che arriverà tra un paio d’anni). Ciò significa che, per un investitore europeo o asiatico, comprare Bitcoin diventa “più economico”. Questo può innescare flussi di capitale extra provenienti dall’estero, contribuendo ad alimentare il rialzo dei prezzi.
Ma anche in questo caso, la relazione non è automatica. La ragione per cui il dollaro si indebolisce è fondamentale. Se la perdita di forza del biglietto verde avviene in un contesto positivo – per esempio una crescita equilibrata, politiche monetarie accomodanti ma stabili e fiducia nei mercati – allora sì, Bitcoin può beneficiarne. Se invece il dollaro scende perché l’economia americana mostra segnali di crisi, o perché si diffonde la paura di un rallentamento globale, allora il clima cambia completamente. In questi momenti prevale la prudenza, e il capitale si sposta verso beni considerati sicuri come l’oro o i titoli di Stato, non verso gli asset digitali.
Un altro elemento da tenere d’occhio sono i tassi reali, cioè i rendimenti effettivi che gli investitori ottengono al netto dell’inflazione. Storicamente, il Bitcoin tende a muoversi in direzione opposta rispetto ai tassi reali: quando questi scendono, perché la liquidità aumenta e le obbligazioni rendono meno, gli investitori cercano alternative come il Bitcoin. Quando invece i tassi reali salgono, anche un dollaro debole può non bastare a sostenere le criptovalute, perché tornano appetibili gli strumenti tradizionali.
Non va poi dimenticato che un dollaro debole spesso coincide con un aumento dei prezzi delle materie prime, inclusa l’energia (qui una riflessione di qualche tempo fa su quanto è importante questo fattore). Per il settore del mining – che dipende fortemente dai costi energetici – questo può rappresentare un problema: margini ridotti e minore redditività spingono alcuni operatori a vendere Bitcoin per coprire le spese, immettendo nuova offerta sul mercato e frenando i rialzi.
In sintesi, un dollaro debole può aiutare il Bitcoin, ma solo in determinate condizioni: quando il calo della valuta americana riflette un ambiente di fiducia, liquidità e appetito per il rischio. Se invece segnala debolezza economica, paura o turbolenza finanziaria, l’effetto si inverte. Come nel caso dello shutdown, non è il fatto in sé a muovere i prezzi, ma il contesto generale e il sentimento degli investitori.
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