Negli ultimi mesi del 2023, i mercati hanno registrato ottime performance, sperando in un accesso al credito per consumatori e imprese molto più economico nel 2024. Se le Banche centrali sono rimaste prudenti, puntando a un numero limitato di tagli del costo del denaro, gli investitori hanno, invece, scommesso su tagli molto più ampi e in tempi più rapidi.
Il 2024, però, ha portato alcune brutte notizie: con la stabilizzazione del prezzo del petrolio, il suo effetto sul calo dell’inflazione risulterà attenuato: se il 2023 si confrontava con i picchi del 2022, il 2024 si confronterà con costi al barile di partenza più bassi. In questo contesto, i prezzi hanno ripreso a salire in Europa e negli Usa. Ciò significa che le Banche centrali devono restare prudenti e saranno meno incentivate a tagliare i tassi. Gli investitori si sono adattati a questa nuova realtà e i mercati obbligazionari hanno vissuto un gennaio fatto di alti e bassi. A essere più penalizzati sono stati i mercati di Paesi caratterizzati da elevati livelli di inflazione. La Svezia, per esempio, ha registrato un forte calo dei prezzi dei bond perché la combinazione di credito più caro ed economia molto indebitata ha pesato su tutte le attività finanziarie. Uno dei mercati obbligazionari che ha, invece, guadagnato nell’ultimo mese è stato quello cinese. Le Autorità di Pechino continuano a cercare di sostenere l’economia riducendo i coefficienti di riserva bancaria nel tentativo di rendere il credito più economico. Ciò, a sua volta, ha sostenuto il prezzo del debito cinese.
GLI EFFETTI SUI MERCATI
Alla fine, i risultati di quanto visto fin qui sono stati a malapena positivi (+0,1% a gennaio i titoli di Stato mondiali in euro e dividendi inclusi), ma in alcuni casi aiutati dalle valute che si sono rafforzate sull’euro come è accaduto ai titoli di Stato Usa: +1,7%, grazie al +1,7% del dollaro. Tra chi ha reso di più seguono i bond ad alto rendimento in dollari (+1,7%), i titoli di Stato cinesi (+1,2%), i bond ad alto rendimento in euro (+0,8%) e i titoli di Stato brasiliani (+0,6%). In rosso sono finiti i titoli di Stato dell’eurozona (-0,5%), quelli svedesi (-1,5%), norvegesi (-2%) e giapponesi (-2,2%) su cui ha pesato il -1,9% dello yen.
I mercati azionari hanno avuto performance molto più contrastanti. Negli Usa (+3,1%), il tema dell’intelligenza artificiale resta forte e ha sostenuto i titoli del settore tecnologico. Tokio ha fatto ancora meglio (+5,6%): le aziende che erano solite tenere in cassa enormi quantità di denaro, offrendo solo magri compensi agli investitori, sono state oggetto di pressioni da parte degli organi di vigilanza locali: la governance aziendale si è evoluta e si prevede che il rendimento per gli investitori possa aumentare, sotto forma di dividendi o riacquisti. Anche l’India (+5,4%) ha corso, sperando in una stabilità dopo le elezioni di aprile/maggio: una nuova vittoria per Narendra Modi potrebbe significare ulteriori riforme nella nazione più popolosa del mondo. Purtroppo, questo dinamismo non è a buon prezzo: Mumbai è una Borsa cara. Le azioni dell’eurozona sono cresciute meno (+1,7%), ma non è una sorpresa se consideriamo che tutti gli indicatori parlano di un continuo rallentamento nel continente e di una performance deludente nel 2024. La Corea è stata, invece sotto pressione (-8,2%) a causa della traiettoria dei tassi di interesse, di utili societari deludenti e di una situazione geopolitica tesa. Anche le Borse cinesi sono calate in maniera decisa (-3,8%): ai livelli attuali, stanno scontando molte cattive notizie, ma gli attuali livelli dei prezzi sono piuttosto bassi (vedi a lato e più diffusamente in Detto tra noi). Concludono la nostra carrellata di mercati il +0,2% di Sidney, il +0,4% di Londra, il +0,8% di Jakarta, il +1,1% di Toronto, il +1,3% di Zurigo e la piccola frenata (-0,4%) di città del Messico.
I NOSTRI PORTAFOGLI: CHE FARE?
I dati di questo mese portano poche modifiche al portafoglio equilibrato: ci viene suggerito un acquisto di azioni inglesi e indonesiane a scapito di Messico e Corea. Ma il Messico a nostro avviso mantiene un enorme potenziale (anche se Trump dovesse vincere) e la Corea dopo il recente calo sembra avere dei punti di interesse. Per quanto riguarda le alternative non siamo entusiasti di tornare nel Regno Unito (le prospettive sono cambiate poco da quando abbiamo venduto le nostre posizioni) e per quanto riguarda l'Indonesia, si terranno le elezioni tra poco: il candidato favorito ha il sostegno dell’attuale presidente, il che significa che è in programma una transizione facile. Tuttavia, a questo punto esiste sempre un certo grado di rischio associato al cambiamento. Nel complesso, non cambiamo nulla.
Nel portafoglio dinamico la domanda è ancora se siamo pronti a separarci dal Messico a favore del Brasile: dato che il Messico ha continuato a comportarsi bene e che il Brasile è già presente sotto forma di bond, anche qui abbiamo ritenuto che non fosse il caso di fare cambiamenti. Infine, nel portafoglio difensivo le azioni giapponesi hanno portato a una performance interessante. I suggerimenti dei nostri modelli vanno ancora verso la vendita delle azioni svizzere (e giapponesi) per aumentare i bond in euro, il cui rendimento è salito al 2,6% dal 2,5% confermando il sospetto che, data la traiettoria dell’inflazione prevista e le esigenze di finanziamento dei Paesi europei, la possibilità che i rendimenti scendano non sarà sufficiente per spingerci a incrementare una posizione già importante. Anche qui abbiamo scelto di mantenere il portafoglio invariato.
LA CINA NON BRILLA, MA FIBRILLA
Alla fine il colosso cinese Evergrande (società immobiliare oberata di debiti che, da qualche tempo, ha attirato su di sé i riflettori dei mercati) è arrivato al capolinea. Il tribunale di Hong Kong ne ha ordinato la liquidazione: l'enorme esposizione al debito di Evergrande si scontrava con la stra-tegia di Pechino di ridurre il rischio nel settore finanziario per renderlo più resistente agli shock, cosa che può essere ottenuta facendo capire che non ci sono salvataggi automati-ci e che le aziende che si prendono un rischio eccessivo finiranno per pagarne il prezzo. Educare il mercato ha un rischio, ed è quello di creare sfiducia. La sfida per Pechino è grande: punire il rischio in eccesso, ma non lasciare che ci sia una rea-zione a catena sul mercato che porti il panico. Le autorità dovranno, quin-di, garantire uno smantellamento or-dinato del colosso immobiliare e, magari, riuscire anche a superare il modo di procedere fin qui tenuto di fronte alle esuberanze del mercato che ha visto riforme frammentarie senza una visione organica. Una nuova sfida in questi giorni è offerta dalle piccole banche rurali che chie-dono una riorganizzazione gettando ulteriori ombre. Non è un caso che i prezzi del mercato cinese siano più bassi rispetto ad altri mercati: sono prezzi che già scontano cattive noti-zie e molta incertezza. Per saperne di più, vedi
qui.
RISPOSTE PER TE
@Stefano Il fondo UBS (Lux) Eq Fd China Opportunity (USD) P-acc (940,77 dollari Usa; Isin LU0067412154) come puoi vedere sul nostro sito a questo link ha una valutazione inferiore (ma non di troppo) rispetto al prodotto che consigliamo, l'Etf Hsbc Msci China (5,04 dollari Usa; Isin IE00B44T3H88) che, essendo un Etf, ha costi inferiori ed è più facile da acquistare. Pertanto lo puoi mantenere. Due informazioni importanti a riguardo. La prima è che sei vai sul nostro sito e clicchi sulla casellina bianca “seleziona per confrontare” che si trova a destra del nome del fondo e sopra il riquadro grigio, potrai confrontare questi due fondi in maniera sinottica. Vedrai che nell’ultimo anno sono andati in maniera simile. La seconda è di non stupirti se trovi prodotti dedicati alla Cina con una valutazione migliore che non sono consigliati; la scelta dei prodotti dipende anche dagli indici del mercato cinese sottostanti, un tema che puoi approfondire qui.