Milano Fashion Week: il lusso apre la sua stagione

Tra debutti radicali e mercati instabili, le passerelle milanesi riflettono le tensioni del presente
Tra debutti radicali e mercati instabili, le passerelle milanesi riflettono le tensioni del presente
La Milano Fashion Week si apre in un clima di grandi attese e crescenti incertezze, con debutti epocali come quello di Demna da Gucci che promettono di ridefinire l'estetica del lusso. Mentre le passerelle celebrano la creatività, il settore affronta sfide globali senza precedenti, dai dazi commerciali alla frenata della spesa turistica. È una settimana della moda che non racconta solo stile, ma la complessa partita che i grandi marchi giocano per mantenere rilevanza e desiderio in un mondo instabile.
L’attesa e la svolta Gucci
Con l’apertura della Milano Fashion Week, gli occhi del mondo sono puntati su Gucci. Alla vigilia delle sfilate, la maison ha svelato su Instagram La Famiglia, la prima collezione firmata da Demna (precedentemente noto per il suo lavoro da Balenciaga), intitolata La Famiglia. La presentazione non è avvenuta con una sfilata tradizionale, ma attraverso un lookbook digitale svelato a sorpresa su Instagram, dopo aver azzerato il profilo social del brand, un gesto interpretato come un modo per segnalare l'inizio di un capitolo nuovo.
È un debutto che ha fatto discutere: da una parte l’entusiasmo per un’estetica radicale, dall’altra la paura che questa virata allontani una parte della clientela più tradizionale.
Il segnale è chiaro: i grandi marchi non possono più limitarsi a custodire il proprio mito. Devono rischiare, cercare linguaggi nuovi e conquistare le generazioni che vivono tra social e culture ibride.
Orologi sotto pressione
Mentre Milano celebra la creatività, il lusso globale continua a fare i conti con venti contrari. L’orologeria svizzera, storica protagonista dei mercati internazionali, si ritrova in una tempesta: dall’inizio di agosto i dazi statunitensi al 39% hanno fatto crollare le esportazioni verso gli Usa.
Un colpo che mette in discussione la capacità del settore di imporre i propri prezzi e che costringe marchi come Richemont e Swatch a rivedere strategie e tempi di consegna (per Swatch avevamo accennato l’utlima volta qui al problema, ma soprattutto ne avevamo fatto un’analisi approfondita qui). La resilienza non basta più: servono soluzioni rapide e una visione di lungo periodo.
Ferragamo e Burberry, due strade per ripartire
Anche l’Italia e il Regno Unito raccontano storie di trasformazione. Ferragamo ha scelto un nuovo direttore finanziario per sostenere un piano di rilancio che passa da un ripensamento dell’assortimento e della comunicazione. Burberry, invece, ha imboccato la strada più dura: tagli e un ritorno dichiarato ai prodotti iconici. Due strategie diverse, accomunate dalla consapevolezza che il lusso “intermedio” non può più permettersi esitazioni.
Il lusso tra desiderio e incertezza
La Milano Fashion Week non è solo una vetrina di sfilate, ma il palcoscenico di un settore che oggi vive una doppia condizione: la forza dei grandi marchi capaci di resistere ai venti contrari e le difficoltà di chi deve ricostruire identità e desiderio.
Negli anni passati il settore del lusso è stato spesso descritto come un’oasi di stabilità in un mondo finanziario turbolento. Maison storiche, margini elevati, fedeltà del cliente e la percezione di beni rifugio hanno fatto credere a molti che le grandi griffe potessero resistere a qualsiasi crisi. Eppure, osservando con attenzione lo scenario del 2025, emergono rischi concreti che ridimensionano questa narrazione e suggeriscono maggiore prudenza a chi vuole investire.
Il primo nodo (e chi ci segue da tempo lo sa) riguarda la Cina. Per due decenni è stata il motore principale del mercato, spingendo i ricavi dei grandi gruppi a livelli record. Ma nel 2024 le vendite sono calate fino a tornare sui valori del 2020, e per il 2025 l’andamento non promette di brillare. La fiducia dei consumatori cinesi rimane fragile e una parte crescente della spesa si sta spostando all’estero, con i viaggi internazionali. Questo significa che i ricavi delle maison dipenderanno più dalle dinamiche turistiche e dai tassi di cambio che dal consumo interno, esponendo i bilanci a nuove variabili difficili da controllare.
A rendere il quadro ancora più complesso è la fragilità della domanda negli Stati Uniti, soprattutto tra i cosiddetti consumatori “aspirational”, cioè coloro che comprano lusso in maniera saltuaria e scegliendo il lusso “accessibile”. Questa fascia, che in realtà rappresenta una larga fetta del mercato globale, rischia di rallentare per via di budget familiari più compressi e della crescente tendenza a ridimensionare la spesa. È un segnale importante: se gli “aspirational” rallentano, la crescita dell’intero settore rischia di affievolirsi, anche se i super-ricchi continuano a spendere senza esitazioni cosa che di per sé dovrebbe creare un’ancora di salvezza, ma che, evidentemente, non sta bastando.
Il turismo resta un fattore guida potente ma volatile. Nel 2024 il Giappone ha battuto record storici con quasi 37 milioni di arrivi e una spesa turistica di oltre 8 trilioni di yen. Per i brand di lusso è stato un toccasana, spinto anche dalla debolezza della valuta locale che ha reso Tokyo una mecca dello shopping internazionale. Tuttavia, questo fenomeno apre un’altra fonte di rischio: se i cambi si muovono in direzione opposta o se i flussi turistici si interrompono, il peso geografico dei ricavi potrebbe diventare instabile, creando forti oscillazioni nei conti trimestrali.
C’è poi una dinamica interna al settore che accentua le differenze: il divario tra chi possiede un marchio con un’aura di desiderabilità praticamente intatta e chi fatica a difendere i propri margini. I grandi nomi capaci di imporre prezzi crescenti e di mantenere la scarsità dei prodotti continuano a prosperare, mentre i brand di fascia intermedia devono ricorrere a promozioni, sconti selettivi o a una maggiore dipendenza dai canali di vendita generici.
Non mancano i rischi di natura aziendale. Alcuni gruppi stanno affrontando delicati processi di rilancio: il caso Gucci, con un cambio di direzione creativa è un esempio emblematico. Gli investitori devono accettare che in queste fasi l’esecuzione diventa cruciale e i risultati possono rivelarsi molto più volatili delle attese. Infine, c’è il fronte regolatorio e reputazionale. L’Unione Europea ha regole severe contro il greenwashing: non è oggi possibile vantare generici meriti ambientali senza prove solide. Per i gruppi della moda significa dover investire in tracciabilità e trasparenza, con costi crescenti e il rischio di sanzioni o danni d’immagine.
Tutto questo disegna un quadro meno lineare di quanto si pensasse. Il lusso resta un settore ciclico, esposto a fiducia dei consumatori, flussi turistici e valute. Allo stesso tempo è un settore polarizzato, dove chi ha un brand iconico può difendersi meglio e chi invece naviga in acque di mezzo rischia di soffrire molto.
Per l’investitore il messaggio è chiaro: non basta guardare all’etichetta “lusso” per sentirsi al sicuro, occorre distinguere tra i vincitori strutturali, i marchi in ristrutturazione e quelli destinati a inseguire. E serve monitorare con attenzione geografie, cambi, dinamiche del mercato secondario e regolazione ESG. Solo così si può evitare di cadere nella trappola dell’illusione che il lusso sia, di per sé, immune ai cicli e alle crisi.
Uno sguardo più in là
Guardando al 2026, il lusso appare come un settore che potrebbe aver già iniziato a già metabolizzare le turbolenze degli ultimi anni. I viaggi internazionali si stanno normalizzando, riportando i flussi di spesa nei grandi hub turistici, e i brand più solidi hanno rafforzato il proprio potere di imporre i prezzi. Soprattutto, entrando nel 2026, il settore potrebbe beneficiare di un contesto macro leggermente più favorevole, con inflazione più sotto controllo e tassi in graduale discesa, che alleviano la pressione sui consumatori di fascia media e sostengono il sentiment complessivo.
Inoltre, il lusso è un settore che ben intercetta uno dei mega-trend di lungo periodo: l’espansione della ricchezza in Asia e Medio Oriente, l’interesse crescente delle nuove generazioni per prodotti con forte identità e storytelling, l’integrazione del digitale e dei prodotti di seconda mano come leve per ampliare l’ecosistema del brand.
In poche parole, il fascino del lusso non svanisce. Cambia ritmo, si fa più selettivo, costringe a distinguere chi detta le regole da chi insegue. In questo contesto vi confermiamo il nostro ultimo consiglio sul settore: mantenete l’Etf Amundi S&P global luxury (207,05 al 22/9; Isin LU1681048630) in un’ottica di lungo periodo.
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