Il lusso rallenta ma non cede: tra resilienza dei leader e sfide globali

Dazi, turisti in calo e consumatori più selettivi ridisegnano il panorama del settore, mentre i grandi marchi continuano a difendere margini e desiderabilità.
Dazi, turisti in calo e consumatori più selettivi ridisegnano il panorama del settore, mentre i grandi marchi continuano a difendere margini e desiderabilità.
Dopo il 20 luglio il lusso ha mostrato un doppio volto: resilienza ai vertici e assestamento nel “campo base”. LVMH ha chiuso il primo semestre con ricavi vicini ai 40 miliardi e margini ancora robusti: non una corsa, ma una tenuta che conferma il peso dei grandi marchi in un contesto turbolento. Hermès resta un caso a parte: crescita organica dell’8% nei ricavi del semestre, con una domanda che continua a premiare la scarsità e l’artigianalità; l’utile si è però piegato agli oneri fiscali, segnale che anche i campioni non sono immuni alle frizioni macro.
Nell’area “premium” italiana il quadro è più sfumato. Prada ha messo a segno un semestre in accelerazione: vendite retail +10% a cambi costanti, spinte da Miu Miu, che continua la sua corsa ben oltre la media di settore; una prova che la creatività mirata e il pricing disciplinato possono ancora battere la gravità. Ferragamo ha dovuto presentare un piano di rilancio in scia a un calo dei ricavi, rimettendo mano a assortimento, rete e comunicazione: la cura richiederà tempo.
La parte bassa del cielo, però, è occupata dalle nuvole dei dazi e dal rallentamento del settore turismo. Gli Stati Uniti hanno alzato al 39% i dazi sulle importazioni svizzere, colpendo in pieno l’orologeria: per gruppi come Richemont e Swatch significa pressioni sui listini, possibili rinvii nelle spedizioni e volatilità in Borsa. È un test crudo sulla reale “pricing power” del lusso, proprio mentre l’export di orologi rallenta. In parallelo, in Europa e in Giappone la spesa dei visitatori si è indebolita, erodendo i picchi post-pandemia a cui molti retail store si erano abituati.
Sullo sfondo, le previsioni confermano un 2025 di digestione: per esempio sulla stampa si legge che Bain stima per i beni personali di lusso un calo tra il 2% e il 5% sull’anno, dopo la flessione del 2024. Non è un tracollo, ma un ritorno alla selettività: crescono Medio Oriente, America Latina e Sud-Est asiatico, mentre Europa e Cina restano irregolari. In questo clima, la rotazione creativa in diverse maison dovrebbe riallineare valore percepito e prezzi, ma l’effetto non è istantaneo.
Tradotto: il settore non sta perdendo la sua capacità di generare desiderio, sta però cambiando ritmo. I leader con marchi iconici, pipeline prodotto disciplinata e controllo del canale reggono meglio gli scossoni; chi è nel pieno di un turnaround paga il conto di un consumatore più esigente e meno turista-dipendente. Nel breve, dazi e cambio sfideranno i listini. In questo contesto vi confermiamo il nostro ultimo consiglio sul settore: mantenete l’Etf Amundi S&P global luxury (197,49 euro al 7/8; Isin LU1681048630).
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