Come tutti gli anni, quando si entra nell'ultimo trimestre dell’anno, si inizia a parlare di manovra finanziaria e con essa uno degli argomenti che tiene banco sono le pensioni. D'altronde, la spesa pensionistica sul Pil italiano è particolarmente elevata e il nostro Paese deve trovare un difficile equilibrio tra l'efficienza in termini di conti pubblici, mantenendo un sistema pensionistico il più possibile in equilibrio tra entrate e uscite, e le necessità delle persone di non essere costrette a dovere lavorare un numero eccessivo di anni per poter andare in pensione. A prescindere da quali saranno le opzioni finali di pensione anticipata, andare in pensione prima del tempo comporta, e comporterà, un assegno pensionistico più basso. Questo anche in assenza di penalizzazioni dirette sul calcolo dell’assegno pensionistico. Anche per chi attende l'età della pensione di vecchiaia, però, l'assegno pensionistico sarà comunque una percentuale inferiore, in certi casi anche elevata, dell'ultimo stipendio percepito.
Questo è il panorama delle future pensioni degli italiani e già questo basterebbe per giustificare quella che ad oggi è solo una voce: l'intenzione di riaprire il cosiddetto periodo di silenzio-assenso per l’adesione ai fondi pensione. La previdenza complementare è necessaria per colmare la differenza tra l'ultimo stipendio e la pensione: è quindi uno strumento di risparmio per vivere una vecchiaia in tranquillità dal punto di vista finanziario. La necessità di ricorrere ad un risparmio oggi per quando si sarà in pensione è reale, dato il basso livello delle pensioni pubbliche, ma anche se questo problema è risaputo, l’adesione alla previdenza complementare in Italia è ancora bassa. Dato che il problema c’è, ma ancora in Italia si stenta ad usare la previdenza complementare, un modo per incentivarla è proprio quella del silenzio assenso.
IL SILENZIO ASSENSO
Che cos'è questo silenzio-assenso? Molto semplicemente è una finestra temporale, di sei mesi, durante la quale i lavoratori sono chiamati a dire esplicitamente se vogliono destinare il proprio Tfr al fondo pensione di categoria oppure no. Se non si dà alcuna comunicazione, vale il principio del silenzio-assenso, per il quale non essendo stato detto un “no” esplicito si considera il lavoratore favorevole alla destinazione del suo Tfr maturando al fondo pensione. Questo è quello che succede tutto le volte che si viene assunti in azienda, non solo la prima assunzione della vita, ma anche se si cambia lavoro. Le indiscrezioni sostengono che ci sarà però un nuovo periodo, una nuova finestra come si dice in questi casi, in cui tutti saranno richiamati a dire espressamente se vogliono o non vogliono destinare il proprio Tfr al fondo pensione di categoria. Questo varrà per tutti: anche chi è già assunto e ha già detto di no al fondo pensione.
Spesso e volentieri si ritiene che la strategia del silenzio-assenso sia un metodo per approfittare della mancanza di voglia, della disattenzione delle persone per far convogliare, forzatamente, il Tfr nei fondi pensione. Viene spesso percepito come un modo per costringere le persone ad aderire alla previdenza complementare. In realtà non è così. La strategia del silenzio-assenso non deve essere vista come un metodo scorretto per costringere le persone ad investire nel fondo pensione. In realtà è una tecnica che viene utilizzata in tantissimi campi e trova le sue fondamenta nell’economia comportamentale per sconfiggere la procrastinazione, quella tendenza a rimandare sempre e che blocca le nostre decisioni. È uno dei cosiddetti bias comportamentali, tra i più forti, che condiziona le nostre scelte, portandoci a prendere decisioni sbagliate, oppure non ottimali o altre volte ancora a perdere occasioni.
IL RUOLO DELLA FINANZA COMPORTAMENTALE
Dato che la procrastinazione è difficile da sconfiggere (qui puoi trovare dei modi per farlo), la finanza comportamentale ha deciso di ragionare in modo diverso, cambiando la prospettiva: se la procrastinazione non può essere sconfitta, allora cerchiamo di usarla a nostro favore. Nel concreto tutto nacque così. In certe aziende degli Stati Uniti i lavoratori, appena assunti, venivano automaticamente iscritti al fondo pensione e iniziavano a contribuire. Ovviamente si dava loro informazione dell'iscrizione automatica al fondo pensione e la possibilità di uscirne. Era lasciato il libero arbitrio alle persone in quanto in qualunque momento potevano uscire dal fondo pensione: non era quindi un'adesione forzata e un prelievo forzoso del proprio risparmio: la piena libertà di scelta dei lavoratori era salvaguardata. Ma è qui che entra in gioco la procrastinazione: come le persone tendono a rimandare a domani o all’infinito la scelta di aderire, ritardando sempre di più l'iscrizione al fondo pensione arrivando a non farla mai, analogamente questa procrastinazione funziona anche con l'adesione automatica: le persone, una volta che erano nel fondo pensione, rimandavano la comunicazione di voler uscire e il tempo passava e non lo facevano più. Tuttavia, con il tempo che passava a causa della procrastinazione, le persone vedevano il loro montante pensionistico aumentare e vedevano anche i rendimenti realizzati. Vedevano quindi aumentare automaticamente, senza che loro facessero niente, i loro risparmi per la pensione e quindi si convincevano che stavano facendo un buon investimento e lo lasciavano lì. Questo è stato l'esperimento pratico che poi è stata anche la base di questa teoria del silenzio-assenso, dimostrando anche nei fatti quindi che ha una sua logica e ha una sua funzione.
ALTRA FUNZIONE: COSTRINGERE A (RI)PENSARCI
La versione del silenzio-assenso dei nostri fondi pensione è un po’ diversa da quella appena vista. Da noi si ha un arco temporale di sei mesi e se le persone non danno disdetta entro quei sei mesi poi rimangono all'interno del fondo - e come sappiamo, a meno di certi casi come la perdita dei requisiti di adesione al fondo o altre situazioni più spiacevoli, non si può più uscire dal fondo pensione. Però questi sei mesi di silenzio-assenso puntano anche a costringere a riflettere sull’adesione al fondo pensione. Dovendo premurarci noi di comunicare se vogliamo aderire o meno, siamo anche costretti a pensare, o ripensare, se vogliamo lasciare il nostro Tfr in azienda oppure metterlo nel fondo pensione. Potremmo rivedere la nostra posizione, apprendere maggiori informazioni, magari migliori rispetto a quelle di anni fa quando la conoscenza era inferiore. Può anche essere l'occasione per rivedere le nostre posizioni e analizzare la nostra situazione finanziaria e anche pensionistica. Tanti anni fa potremmo avere detto di no al fondo pensione basandoci su delle informazioni che non erano corrette oppure perché avevamo una percezione diversa di quello che era il nostro futuro pensionistico, così come potevamo ritenere di essere troppo lontani dal momento del ritiro, pur sbagliando, da non ritenere così importante pensare alla pensione. Sono passati anni, le informazioni sono aumentate, le persone sono cambiate e hanno dei bisogni diversi, hanno un orizzonte temporale diverso e possono iniziare ad avere anche timori diversi da quelli di tanti anni fa. Sono quindi molti i fattori che rendono il silenzio-assenso una strategia ragionata, corroborata da analisi sociologiche, comportamentali e non è dovuto a un semplice motivo di costrizione nei confronti delle persone. E dato che c’è tempo sei mesi per comunicare il nostro dissenso, la nostra libertà di scelta è salvaguardata.