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"Terra abbiamo un problema", intervista a Samantha Cristoforetti

06 agosto 2018

06 agosto 2018

Quant'è importate osservare lo spazio per studiare lo stato di salute del nostro pianeta? Ce lo spiega l'astronauta italiana Samantha Cristoforetti.

 Intervista di Beba Minna

Mi sento una nanoparticella che stringe la mano a una galassia. La incontro per l’intervista poco prima del suo intervento al Labirinto d’Acque, giornata dedicata alle risorse idriche organizzata dalla Fondazione Franco Maria Ricci a Fontanellato, in provincia di Parma. Appena sedute sul divano l’emozione passa, il sorriso di Samantha Cristoforetti è rassicurante e da astronauta navigata fa sembrare vicino quell’universo lontano su cui tutti almeno una volta nella vita abbiamo fantasticato.

«Nonostante quello che si può credere – racconta il capitano Cristoforetti - la stazione spaziale gode di una certa vicinanza alla Terra, è distante solo 400 km, motivo per cui può usufruire di una serie di servizi di rifornimento. Per esempio l'acqua disponibile sulla stazione spaziale viene portata dalla Terra, l’approvvigionamento arriva dall’azienda municipalizzata di Torino. Nel prossimo futuro inizieremo a compiere missioni più lontano nello spazio, e proprio perché più lontani, potremo fare meno affidamento sui rifornimenti che arrivano dalla Terra. Questo è uno dei temi su cui si sta lavorando per il futuro, ma per arrivare a compiere imprese meno vincolate al nostro pianeta c'è ancora molto lavoro da fare a livello tecnologico».

Acqua, un bene da preservare. Un problema da affrontare è la gestione delle risorse, anche se da un certo punto di vista già oggi la navicella spaziale può essere considerata un modello quasi perfetto (anche se estremo) di economia circolare, ovvero un sistema capace di rigenerarsi da solo. Gli astronauti riciclano tutti i liquidi per ottenere acqua potabile, urina compresa.

«Quando racconto al pubblico che sulla navicella ricicliamo l’urina, l’umidità e la condensa per ricavarne acqua potabile (buonissima), la gente rimane disgustata. Però faccio notare che la nostra Terra fa esattamente la stessa cosa. Sulla stazione spaziale ci limitiamo a replicare quello che la natura fa da sempre. Se voglio asciugare un asciugamano lo metto vicino alla griglia del sistema di ventilazione, mentre l'asciugamano si asciuga l'acqua viene recuperata dal sistema di condizionamento e viene poi convogliata nel sistema di riciclaggio. Non si riesce a chiudere completamente il ciclo dell'acqua, ma siamo oltre al 70 per cento del recupero. Dobbiamo imparare a sprecare meno acqua – continua Cristoforetti - una risorsa finita che va gestita in maniera oculata. Sulla stazione spaziale già lo facciamo, ma questo non significa che dobbiamo sopportare particolari privazioni. Certo non è come sulla Terra, non essendoci peso non abbiamo l'acqua corrente, non si può aprire un rubinetto, non si può fare una doccia vera e propria, ci si lava fondamentalmente con salviettine umidificate. Ma non lo trovo un regime particolarmente duro».

Può sembrare macchinoso, ma l’equipaggio è tenuto a preservare le risorse anche perché portare l’acqua o qualunque altra materia nello spazio è complicato e costoso. Qualunque oggetto da spedire lassù costa diverse decine di migliaia di euro, a seconda del livello di orbita che si deve raggiungere. Nello spazio insomma l'economia si appiattisce, le materie sono tutte uguali, che si tratti di acqua o di Barolo non cambia. La "space economy" è anche riuscita a oliare vecchi attriti, ma è ancora l'acqua a essere protagonista di uno sbiaditissimo scenario da guerra fredda. Si dice che i cosmonauti russi e quelli americani a bordo della stazione spaziale non bevano la stessa acqua. «Non so se è per una questione di gusto odi storia tecnologica - sorride l'astronauta - quello che posso dire è che in effetti russi e americani bevono acque diverse. L'acqua destinata agli americani (che poi è la stessa che beviamo noi europei) è trattata con iodio per evitare lo sviluppo di batteri, mentre i russi utilizzano ioni di argento». Una visione strategica. Le imprese spaziali sono importanti anche perché permettono di studiare lo stato di salute del nostro pianeta. Dallo spazio si vede quanto la Terra è malandata, la desertificazione che avanza, i ghiacciai che si ritirano, gli effetti dei cambiamenti climatici.

«Attraverso quelli che chiamiamo i satelliti sentinella - spiega l’astronauta – riusciamo ad acquisire una serie di dati fondamentali sullo stato del pianeta, che in un certo senso ci aiutano a difenderci da noi stessi, ovvero dalle attività dell'uomo più dannose. La terra di per sé non sarebbe vulnerabile, è la presenza dell'uomo che la mette a rischio. La questione è capire se gli esseri umani siano in grado di garantire nel tempo le condizioni che permettono di sopravvivere come specie. In particolare la risorsa acqua, che non è distribuita in maniera omogenea, potrebbe diventare un grosso problema per la sopravvivenza della specie. I dati satellitari in questo senso sono fondamentali». Cosa si vede da lassù? «Generalmente stiamo sulla stazione spaziale per 5-6 mesi in media - chiarisce il capitano - ed è difficile percepire a occhio nudo in un tempo così breve ogni possibile cambiamento, come un processo di desertificazione o la riduzione della superficie di un lago. Per interpretare questi fenomeni bisogna riferirsi alle conoscenze precedenti, frutto dello studio dei cambiamenti climatici. I satelliti sentinella hanno il compito di osservare uno specifico aspetto: riguardo al clima, agli oceani, ai ghiacciai, alle superfici agricole, proprio per capire come sta il pianeta e come si sta evolvendo».

Samantha mi sorride quando le faccio notare che anche le imprese spaziali però impattano, perché producono rifiuti. Numerosi satelliti non più utilizzati gravitano abbandonati e secondo alcuni creano una sorta di spazzatura spaziale: «In realtà il problema è quello di rendere sicura l'orbita, perché questi oggetti sono soprattutto degli ostacoli. È come se sull'autostrada rimanessero delle macchine ferme, che invece di essere portate via ostacolano la circolazione dei veicoli. Noi oggi, però, abbiamo bisogno di questi satelliti come del pane, lei non potrebbe usare questo cellulare con cui sta registrando l'intervista perché non funzionerebbe senza questi satelliti, così come non funzionerebbero il GPS e i navigatori, tutti servizi messi a disposizione dall’attività spaziale. Oppure non avremmo i dati di cui parlavamo prima sull'evoluzione del clima. Voglio dire che di queste orbite abbiamo bisogno, è il prezzo che dobbiamo pagare per avere tutti questi privilegi».

Direi che Astro Samantha (così viene chiamata dagli innumerevoli fan) mi ha convinto e non solo perché come tutti sono abituata a essere circondata di comodità, ma anche perché l’osservazione dallo spazio offre un punto di vista unico sui mutamenti globali. Alla conferenza, dove deve intervenire Cristoforetti, è presente anche Tommaso Ghidini, capo della Sezione di tecnologia dei materiali dell’Agenzia spaziale europea (Esa). Al pubblico racconta che sono i cittadini a finanziare l'Agenzia spaziale grazie al sostegno di 23 stati membri tra cui uno dei maggiori contribuenti è proprio l'Italia. «Quello che mi fa piacere dire - spiega Ghidini - è che questo contributo dato attraverso le tasse ritorna ai cittadini sotto molti aspetti. Per esempio, attraverso la mappatura precisa di come la vegetazione si muove a seconda delle stagioni possiamo fornire informazioni preziose agli agricoltori. L'osservazione permette di vedere dove si trova l'acqua e in quali condizioni è; c'è anche la parte di controllo dei terremoti e dei vulcani che consente di fare prevenzione. Nonostante l'importanza di queste osservazioni, che permettono di capire la Terra e di anticipare fenomeni fondamentali, il costo pro capite in definitiva è irrisorio. L’Esa ha un budget di 5,75 miliardi di euro all'anno, sembra una cifra enorme, ma se guardiamo quanto incide questo investimento sui cittadini ci rendiamo conto che all'anno è pari a un biglietto del cinema. Direi che è un investimento sostenibile».

Il pubblico è entusiasta, la conversazione ha affascinato e mentre si fanno gli ultimi saluti penso che nonostante un curriculum da combattimento e un successo planetario lo spirito di AstroSamantha si è mantenuto anche molto pratico: «Andare nello spazio è un po’ come partire per il campeggio. Ma un campeggio di lusso». Se lo dice lei.


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