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Elon Musk compra Twitter: cosa fare delle azioni di una società non più quotata

Elon Musk, patron di Tesla, acquista Twitter e ritira il social network del cinguettio dalla quotazione in borsa. Ma cosa succede a chi non accetta di cedere le azioni? È uno dei tanti casi in cui puoi trovarti in mano azioni non quotate: ecco cosa succede in queste occasioni, e cosa puoi fare per riavere il tuo denaro.

  • di
  • Michela Sirtori
28 ottobre 2022
  • di
  • Michela Sirtori
Elon Musk compra Twitter

Le azioni sono uno strumento finanziario con cui, in pratica, diventi proprietario di una “fettina” di una società. In genere, le azioni che compri sono quotate su un mercato ufficiale - quello che probabilmente conosci di più è la Borsa di Milano - e l’entrata e l’uscita dall’investimento sono relativamente facili: ti basta rivolgerti alla tua banca (allo sportello o tramite l’home banking) per inoltrare l’ordine di acquisto e, nel momento in cui rivorrai indietro il tuo denaro, rivolgerti di nuovo alla tua banca per inoltrare l’ordine di vendita. Attenzione, questo non significa che riavrai con certezza l’ammontare che hai investito: come ti dicevamo, con le azioni diventi proprietario di un pezzo della società, e quindi il risultato in utile o in perdita del tuo investimento dipenderà dall’andamento della società stessa, oltre che da fattori generali che influenzano la Borsa (l’andamento economico, le manovre delle Banche centrali…). Ma almeno, il fatto che si tratti di un’azione quotata ti dà la relativa tranquillità di poter vendere le azioni praticamente in qualunque momento. Ci sono, invece, casi in cui questa certezza può venir meno. Ecco i principali.

Primo caso: c’è un’OPA (offerta pubblica di acquisto) a cui non aderisci

È quello che potrebbe succedere proprio agli azionisti di Twitter. Quella che Musk intende lanciare è un’offerta, appunto, non un obbligo. In pratica, lui si impegna ad acquistare, al prezzo stabilito, le azioni di tutti coloro che vorranno cedergliele, ma se tu sei azionista della società non sei obbligato a vendergliele: per i motivi più disparati, puoi anche decidere di tenerti le tue azioni. Attenzione, però, le OPA hanno, per legge, una durata predefinita (si tratta, al più, di settimane), dopodiché l’offerente chiude i cordoni della Borsa: se le adesioni sono state relativamente poche, l’azione continuerà a essere quotata, ma se al contrario l’offerente è riuscito a convincere quasi tutti gli altri azionisti, l’azione può essere ritirata dalla quotazione. E tu, tuo malgrado, ti ritrovi con azioni non quotate.

Che fare per riavere i tuoi soldi?

Non essendoci più un mercato ufficiale che fa “incrociare” domanda e offerta, quando in futuro vorrai recuperare il tuo capitale sarà molto più difficile trovare un acquirente: e anche ammesso che tu ci riesca, sarà anche difficile trovare un accordo sul prezzo. Anche l’idea di rivolgerti, in futuro, allo stesso soggetto che aveva lanciato l’OPA potrebbe non funzionare: se ha già raggiunto la quota del capitale che gli permette di fare il bello e il cattivo tempo nella gestione della società, potrebbe non essere interessato a spendere ulteriore denaro per acquistare anche le tue azioni.

Per questi motivi, anche se poi bisogna valutare caso per caso, spesso quando viene lanciata un’offerta pubblica di acquisto finalizzata ad acquisire tutta la società è in generale meglio aderire, specialmente se si ha il sentore che l’offerta possa avere successo (cioè che ci siano tanti azionisti interessati ad accettare). A volte ti toccherà farlo di malavoglia, specialmente se devi vendere in perdita o se credevi nelle potenzialità della società; ma almeno, eviti il rischio di trovarti con il “cerino in mano” di un investimento difficile da liquidare.

I paracadute nella normativa italiana

Per fortuna, nella normativa europea (e in quella italiana in particolare) ci sono alcune regole che attenuano questo rischio, dando agli azionisti che hanno “perso il treno” della prima OPA un’ulteriore possibilità. Se una società è quotata sulla Borsa italiana, per esempio, chi ha lanciato un’offerta pubblica di acquisto e si è ritrovato ad avere almeno il 90% del capitale, deve dare agli azionisti “residui” la possibilità di cedere le proprie azioni, allo stesso prezzo dell’offerta precedente o al prezzo stabilito dalla Consob (l’autorità di controllo del mercato di Borsa italiano). Se poi l’offerente ha addirittura superato il 95% delle azioni, potrebbe essere lui stesso ad esercitare il diritto di acquistare “d’ufficio” le tue azioni, indipendentemente dal fatto che tu sia d’accordo o no.

Secondo caso: la società è in difficoltà

Qui entriamo in un contesto più “doloroso” per il tuo portafoglio: e cioè quello in cui hai acquistato le azioni di una società regolarmente quotata, ma poi i suoi conti sono andati così male da spingere le autorità di controllo a sospenderla dalla quotazione di Borsa. Se le cose, poi, si risistemano, la società può tornare a essere quotata: magari non avrà più il prezzo di Borsa di prima, ma almeno torni ad avere la possibilità di vendere le tue azioni. Ma a volte, purtroppo, la sospensione temporanea si trasforma in patatrac: la società fallisce, e dice definitivamente addio alla Borsa.

Che fare per riavere i tuoi soldi?

C’è poco da sperare: come azionista partecipi alla procedura concorsuale (l’iter con cui i commissari fallimentari tirano le somme e chiudono i conti della società fallita), ma devi ricordare che sei proprietario della società, e quindi vieni dopo tutti gli altri creditori: il fisco, i dipendenti, le banche che hanno concesso crediti, gli investitori che hanno comprato obbligazioni… solo se, dopo aver pagato tutti questi, rimane ancora qualcosina, allora qualche briciola può arrivare anche a te come azionista. Ma nella maggior parte dei fallimenti, il “tesoretto” si esaurisce ben prima di aver ripagato tutti quelli che, nella lista, vengono prima degli azionisti.

Terzo caso: la società non è mai stata quotata

Non credere che sia un caso così lontano dalla realtà: spesso anche piccoli investitori acquistano azioni che già in quel momento non sono quotate, con tutti i problemi del caso. Perché lo fanno? Perché spesso si tratta di azioni della banca stessa di cui sono clienti: vuoi perché convinti dallo sportellista della bontà dell’investimento, vuoi per ottenere condizioni migliori su altri prodotti della banca (come mutui o conti correnti), spesso ci si ritrova in mano azioni della banca, senza che ci sia un listino ufficiale su cui rivenderle. Particolare, poi, il caso delle banche popolari, che offrivano ai clienti le proprie azioni come un investimento “quasi sicuro”: il loro prezzo veniva stabilito, una volta l’anno, dall’assemblea, e per lunghi anni è sempre stato o stabile o addirittura in crescita… meglio di così! Ma se le cose cominciano a scricchiolare? È proprio in quel momento che puoi avere più urgenza di “scappare” dall’investimento, ed è proprio allora che rischi di non riuscirci. Ne sanno ben qualcosa, per esempio, gli azionisti delle banche venete fallite…

Che fare per riavere i tuoi soldi?

Posto che ti sconsigliamo di acquistare azioni di banche popolari non quotate, supponiamo che comunque tu lo abbia fatto. Finché la banca è “sana”, puoi provare a rivolgerti alla banca stessa perché te le riacquisti: ma sappi fin da ora che non è facile, né veloce. A volte, pur non essendoci un mercato ufficiale, può esserci una specie di “borsino interno” con cui la banca incrocia le richieste di chi vuol vendere con le richieste di nuovi investitori, ma anche in questi casi non farti illusioni: spesso questi “borsini” non sono né liquidi né trasparenti, per non parlare dei casi (ci auguriamo pochi) in cui sono più di facciata che un vero mezzo per scambiare azioni. O peggio, solo un modo per far scappare in tempo gli “amici degli amici” prima che scoppi la bufera.

E se la bufera, appunto, scoppia? Arrivati a quel punto, che ci sia o no un “borsino” conta poco: in quel momento tutti vorranno vendere, e nessuno acquistare. Se la società fallisce, vale quello che ti dicevamo prima: ti devi mettere in coda, e sperare. A meno che, e qui sta la differenza rispetto al fallimento di una società qualunque, la banca nel collocarti i propri titoli non abbia commesso delle scorrettezze: spesso, come hai visto nei casi di cronaca degli ultimi anni, gli investitori hanno ottenuto dei ristori, a volte con il ricorso al fondo interbancario o a risorse pubbliche, recuperando così almeno in parte il proprio denaro. Ma non c’è certo da fare affidamento su questo: la miglior difesa del tuo denaro è la prevenzione, meglio investire altrove. Sei interessato a sapere dove? Su www.altroconsumo.it/investi troverai certamente quello che fa per te.