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Asili nido, difficile trovare posto: pochi quelli comunali e rette salate nei privati

I servizi per l’infanzia sono un importante tassello del welfare, ma i posti disponibili sono ancora pochi e i nidi privati hanno rette salate. La nostra inchiesta in 350 nidi privati di 8 città. Milano la più cara.

  • contributo tecnico di
  • Lucia Canzi
  • di
  • Adelia Piva
08 marzo 2022
  • contributo tecnico di
  • Lucia Canzi
  • di
  • Adelia Piva
giochi per bimbi

“Dignità è non dover essere costrette a scegliere tra lavoro e maternità” lo ha detto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel suo discorso di insediamento di fronte al Parlamento.

Una scelta che purtroppo troppo spesso le donne sono costrette a fare perché manca nel nostro Paese un buon welfare per le famiglie.

Ogni anno troppe famiglie non hanno la certezza di trovare posto all’asilo nido per i loro figli: i posti messi a disposizione dai Comuni non bastano e i nidi privati hanno rette salate. Per mandare un bambino in un nido privato oggi in Italia, secondo la nostra inchiesta nelle maggiori città italiane, si arriva fino a 620 euro al mese, ovvero oltre un quinto del reddito medio di una famiglia. Un prezzo salato, per un servizio così essenziale. Quindi, oltre ad ampliare i nidi e i posti disponibili, bisogna garantire che i costi siano sostenibili.

Servizi per la prima infanzia insufficienti

L’Istat ha ben fotografato le carenze dei nostri servizi per la prima infanzia (rapporto 2020): i posti disponibili nei nidi sono ancora al di sotto dell’obiettivo fissato dal Consiglio europeo di Barcellona nel 2002, cioè un posto per almeno il 33% dei bambini entro il 2010. Nonostante siano trascorsi dieci anni, siamo al 26,9% di posti nei servizi educativi per 100 bambini sotto i tre anni. Lontani dai nostri cugini europei: in Spagna viene garantito un posto al nido al 57,4% dei bambini e in Francia al 50,8%. Bisogna dire che ci sono anche ampi divari territoriali: sia il Nord-est che il Centro Italia offrono una copertura sopra il target europeo (rispettivamente 34,5% e 35,3%), il Nord-ovest è vicino all’obiettivo (31,4%, mentre il Sud (14,5 %) e le Isole (15,7%) sono ancora distanti dal target.

La nostra inchiesta in 350 nidi privati di otto città

Ci siamo messi nei panni di una famiglia che deve lasciare il bambino di 18 mesi al nido per il numero massimo di ore disponibile, che in media è di dieci ore. Abbiamo contattato 350 nidi privati in otto città, accreditati o autorizzati dal Comune, chiedendo la tariffa mensile per orario massimo e minimo (in media cinque ore).

Un posto nei 350 nidi privati contattati nell’inchiesta ha un costo medio piuttosto salato: 620 euro circa (inclusi pasti, pannolini e spese di iscrizione) per il numero massimo di ore frequentabili in media, cioè dieci.

Se il bambino frequenta il nido “part-time”, cioè in media cinque ore, la retta mensile in proporzione è ancora più salata: 480 euro che, rapportati al numero inferiore di ore, fanno 4,84 euro l’ora contro i 3,13 di chi resta al nido per il tempo massimo. 

Troppe chiusure in estate

Il servizio dei nidi a luglio e agosto è importante per i genitori che lavorano, anche perché il prezioso aiuto dei nonni, per molte famiglie fondamentale, sta diventando sempre meno disponibile, viste le politiche previdenziali che allungano sempre di più la permanenza al lavoro. Dalla nostra inchiesta emerge che luglio è coperto quasi sempre: il 94% dei nidi è aperto. Solo il 3% chiude, mentre un altro 3% è aperto in tutto o in parte, a volte in base al numero di bambini che frequenterebbero.
Ad agosto invece sono ben sette nidi su dieci quelli che chiudono; solo il 12% resta aperto, l’8% solo per una o due settimane mentre nell’11% dei casi l’apertura dipende dalle richieste delle famiglie.

Un welfare da ripensare

Più posti al nido con costi accettabili è uno dei tasselli fondamentali per far sì che le donne non debbano lasciare il lavoro o rinunciare a reinserirsi per dedicarsi alla cura dei loro bambini. Così come anche i padri devono assumersi le loro responsabilità di cura della prole, per cui deve anche venire meno il divario salariale che fa sì che spesso nell’economia della famiglia resti a casa chi guadagna meno, quasi sempre la donna. Un welfare da ripensare, anche in un’ottica futura in cui ci sarà sempre meno l’aiuto dei nonni visto che l’età di pensionamento sarà sempre più alta e quindi saranno ancora al lavoro.

Tre miliardi nel Pnrr dedicati a nidi e scuole per l’infanzia

I numeri dicono che c’è davvero ancora molto da fare. Una spinta dovrebbe arrivare dai tre miliardi di euro stanziati nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) per potenziare asili nido e scuole per l’infanzia su tutto il territorio nazionale. Così presentato dal ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi: «Con gli investimenti nell’istruzione ridurremo l’attuale divario tra Nord e Sud nei servizi educativi, in particolare nello 0-6. Garantire un maggiore accesso agli asili nido e alle scuole dell’infanzia significa anche affrontare il tema della denatalità e dare un sostegno concreto all’occupazione femminile».

C’è un altro impegno importante nel Pnrr, inserito nel Ddl bilancio: entro il 2027 i Comuni dovranno garantire 33 posti negli asili nido ogni 100 bambini residenti tra i 3 e i 36 mesi sempre per «favorire l’avviamento delle donne nel mondo del lavoro o il ritorno dopo una gravidanza». Staremo a vedere.