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Date di scadenza: quando buttare il cibo in scadenza e quando no

Per alcuni alimenti è essenziale rispettare la data di scadenza. Con altri si può essere più flessibili perché la data è solo indicativa. Peccato che la regola non sia sempre chiara ai consumatori, tanto che la UE sta pensando di introdurre la dicitura "spesso buono oltre" accanto a quella "da consumarsi preferibilmente entro". In attesa che arrivi la nuova dicitura ecco cosa bisogna sapere per mangiare senza rischi né sprechi i prodotti alimentari confezionati.

09 marzo 2023
sveglia con cibo al posto delle lancette

Ogni anno un terzo di tutto il cibo prodotto nel mondo non viene consumato. Lo spreco alimentare è una questione che riguarda tutti, dalle istituzioni ai grandi produttori, fino a noi, che ci sediamo a tavola ogni giorno. La scarsa conoscenza delle informazioni riportate sulle confezioni o la loro poca chiarezza sono infatti tra i fattori che portano cibo normalmente commestibile a finire nella spazzatura di casa. Secondo una nostra inchiesta svolta nella primavera del 2020, solo il 37% degli italiani comprende correttamente il significato delle date riportate sugli alimenti e la importante differenza fra data di scadenza e termine minimo di conservazione.

Per questa ragione, nella bozza della Commissione Ue per la revisione delle norme sulla data di scadenza degli alimenti è stata inserita la proposta di aggiungere, accanto alla dicitura "da consumarsi preferibilmente entro", anche un'altra scritta: "spesso buono oltre". Lo scopo? Quello di per fornire al consumatore una migliore comprensione delle diciture e aiutare così a combattere lo spreco alimentare. In attesa che, però che arrivi questo ulteriore strumento per i consumatori, vediamo nel dettaglio quali differenze ci sono tra scadenze e termine minimo di conservazione, e come vanno lette le diciture al momento presenti sulle confezioni.

Scadenze o termine minimo di conservazione?

La data di scadenza viene indicata sulle confezioni o sulle etichette di alcuni alimenti: è la dicitura “da consumare entro” seguita dal giorno e dal mese. Questa indicazione ci dice la data entro cui un alimento deve essere consumato. Pensiamo ad esempio agli alimenti delicati, come una tartare di pesce crudo: dal giorno successivo alla scadenza l’alimento deve essere considerato scaduto, perché consumarlo può essere pericoloso per la salute.

Il “termine minimo di conservazione” o TMC viene indicato sulle confezioni con la dicitura “da consumarsi preferibilmente entro” seguita da mese, anno e in alcuni casi dal giorno. Questa data ci indica fino a quando un prodotto alimentare (come la pasta, la farina, i biscotti) conserva le sue caratteristiche specifiche - nutrizionali e di gusto, aspetto e aroma - se si rispetta un’adeguata conservazione.

Scaduto, non sempre pericoloso

Molto spesso sia la data di scadenza sia il TMC vengono interpretati in senso restrittivo. In realtà i prodotti con il TMC raggiunto o superato non sono dannosi per la salute e possono essere ancora consumati: l’alimento è ancora commestibile, in certi casi addirittura per mesi. Pensiamo a una confezione di crackers: magari con il passare dei giorni si modificheranno un po’ il gusto e la consistenza, probabilmente non saranno più friabili come al momento dell’acquisto, ma mangiarli sarà comunque sicuro.

Quanto tempo dopo si può mangiare?

Ma per quanto tempo è possibile consumare un alimento dopo il termine minimo di conservazione? Dipende dai casi. I prodotti che vanno tenuti in frigorifero sono quelli più deperibili: questi in linea di massima hanno la data di scadenza, che è bene rispettare. In qualche caso (per esempio lo yogurt oppure il latte fresco) si può sforare di uno o due giorni, purché la temperatura del frigo sia impostata correttamente a 4 °C, la confezione sia integra e non si presentino cattivi odori. Con altri alimenti freschi (soprattutto i più deperibili come pesce crudo, carne fresca, formaggi freschi...) invece bisogna essere ligi, perché c’è il rischio che prolifichino microrganismi, alcuni dei quali sono patogeni, cioè dannosi per l’uomo.

I prodotti da dispensa in genere possono essere consumati anche dopo due mesi dal termine minimo di conservazione; in linea generale più lungo è il termine minimo di conservazione previsto, maggiore sarà il margine di tolleranza.