Tutele Sanitarie private: un lusso ancora per (troppo) pochi
La pandemia di Covid-19 e le esigenze di bilancio hanno messo sotto pressione la sanità pubblica, favorendo la crescita di quella privata. Ma troppi fattori, a cominciare dai costi, rendono le tutele private ancora troppo poco accessibili.

L’interesse degli italiani per il diritto alla salute ed alle tutele in campo sanitario è decisamente elevato, soprattutto dopo lo scoppio della pandemia di Covid-19. Secondo il 1° Rapporto sulla Sanità italiana condotto dal Censis, l’82.1% della popolazione adotta comportamenti salutari mentre il 66.5% svolge visite ed accertamenti di prevenzione. Inoltre, l’attenzione rimane alta anche per quanto riguarda le aspettative per il futuro: più del 90% dei cittadini si attende una personalizzazione delle cure e considera la spesa pubblica per la ricerca come un investimento e non come un costo.
In Italia, la politica sanitaria è declinata attraverso tre cosiddetti Pilastri. Il primo pilastro è costituto dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN) che, in ottemperanza ai dettami della Costituzione, garantisce il diritto e l’accesso alle cure a tutti i cittadini. La quota di spesa pubblica per la sanità è costantemente salita nel corso degli anni (anche per effetto dell’invecchiamento della popolazione) e nel 2020 ha raggiunto circa 122 miliardi di euro, pari a circa il 7.4% del PIL nazionale. Tuttavia, benché rimanga una quota importante del bilancio statale, la sanità pubblica è stata oggetto di tagli e ridimensionamenti nel corso degli anni (il picco del 2020 è stato causato in gran parte dalla pandemia, ma la percentuale è già prevista in discesa nei prossimi anni intorno al 6.5%). Il Covid-19 ha, inoltre, messo ulteriore pressione alle strutture sanitarie, causando rallentamenti nelle diagnosi e nella fruizione delle cure.
Questa situazione ha contribuito a far crescere la spesa sanitaria privata la quale, secondo un recente rapporto di ANIA, ha raggiunto nel 2020 la quota di 38 miliardi di euro, un aumento del 36% rispetto al 2004. Tuttavia, lo studio ANIA mostra anche come quasi il 90% di tale spesa sia stata di natura “out of pocket”, ovvero pagata direttamente dai singoli cittadini che hanno dovuto (o voluto) attingere al proprio patrimonio personale per far fronte alle proprie necessità. L’Italia è il paese con la più alta incidenza dell’utilizzo dei risparmi personali (la media europea, benché in crescita, è del 74%). “Quest’aspetto è socialmente iniquo, perché mette le persone di fronte alla scelta tra pagare (quando sono in condizione di farlo) o, aspetto ancor più grave, rinunciare alle cure nel momento in cui si è più fragili” dice ANIA.
Poche tutele private
Tutto questo deriva dal fatto che non sono molte le tutele sanitarie a cui si può ricorrere fuori dall’ombrello della sanità pubblica. Il cosiddetto secondo pilastro della sanità è costituito dai servizi offerti dalle casse mutualistiche/fondi aziendali o di categoria. Questa tipologia però, pur rappresentando spesso l’unica alternativa al SSN, non copre né la totalità dei cittadini (perché spesso queste prestazioni sono riservate ai lavoratori attivi e solo in qualche caso possono essere estese ad altre categorie) né tantomeno la totalità dei lavoratori. Secondo il 2° Reporting System sull’attività dell’Anagrafe Fondi Sanitari curato dal Ministero della Salute, il totale degli iscritti ai fondi nel 2019 (ultimo anno disponibile) era poco più di 14,5 milioni di persone, pari a circa il 71% del totale dei lavoratori dipendenti. Se s’includono poi anche i lavoratori autonomi (che normalmente non hanno accesso a questo tipo di tutele) la percentuale scende a circa il 57%. Inoltre, tali fondi risultano anche poco utilizzati, coprendo meno del 3% (inferiore al miliardo di euro) della spesa privata complessiva, sempre secondo i dati ANIA.
Le ragioni di tale sottoutilizzo sono diverse: da una parte, tali fondi sono stati concepiti in rapporto subordinato al SSN e sono obbligati a offrire prestazioni (chi in via esclusiva chi in una percentuale non inferiore al 20%) cosiddette extra LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), concentrandosi, quindi, su specifiche tipologie di servizi. Secondo i dati del Ministero, le prestazioni di assistenza odontoiatrica costituiscono la maggioranza dei servizi offerti (con una percentuale che varia tra il 69% e il 98% a seconda della tipologia di fondi) seguiti solo in maniera residuale da prestazioni per persone non autosufficienti e prestazioni per il recupero da infortuni o malattia per lavoratori temporaneamente inabili. Inoltre, anche in caso di prestazioni che rientrano nei LEA e che quindi sono offerte in alternativa a quelle erogate dal SSN, bisogna spesso rispettare determinati parametri (come il rivolgersi a specifiche strutture o professionisti, limiti di rimborso o di erogazione e così via) che possono disincentivarne il ricorso. In secondo luogo, bisogna aggiungere che tali fondi non offrono campagne informative adeguate nelle aziende o attraverso canali dedicati, rendendo difficile il loro utilizzo soprattutto in caso di richieste di informazioni e chiarimenti da parte del cliente. Infine, lato lavoratore, c’è poca consapevolezza delle tutele che il proprio fondo può offrire.
Polizze sanitarie private: non per tutti
Il terzo pilastro della sanità, infine, è costituito dai servizi e dalle prestazioni sanitarie individuali, erogate in massima parte da compagnie assicurative tramite la stipulazione di polizze sanitarie personalizzate (all’individuo o al nucleo famigliare). Anche questa tipologia di servizio ha registrato un aumento, con la nuova produzione annua di polizze ramo Malattia cresciuta del 11.7% nel 2020 e del 14.2% nel 2021, secondo le ultime rilevazioni ANIA. Tuttavia, il totale dei premi contabilizzati ha rappresentato comunque circa l’8% del totale della spesa sanitaria privata che, come ricordato in precedenza, è stata per la maggior parte coperta dai risparmi dei cittadini.
Ancora troppo poche sono, infatti, le persone che stipulano una polizza sanitaria. L’indagine sui bilanci delle famiglie italiane della Banca d’Italia (gli ultimi dati disponibili si riferiscono al 2016) mostra come poco meno del 7% delle famiglie possieda una polizza sanitaria. Ci sono tanti motivi per cui questo accade (complessità delle polizze, questionari di rilevazione complicati, scarsa educazione assicurativa ecc…) ma dall’indagine emerge soprattutto un problema di costi. Un’analisi di Altroconsumo del 2019, ha evidenziato come il costo di una polizza sanitaria di buona qualità per una famiglia di tre persone si aggiri intorno ai €3500 annui, con valori che possono oscillare a seconda dell’area geografica e del livello di franchigia considerato. Inoltre, la Banca d’Italia ha rilevato che la percentuale di famiglie assicurate tra le famiglie con un reddito maggiore è superiore di quasi 19 punti percentuali rispetto a quelle con redditi più bassi, un divario in crescita rispetto ai circa 11 punti percentuali del 2014. Ciò significa che le famiglie percettrici di un reddito più elevato (che sono anche quelle che potrebbero sostenere meglio una spesa sanitaria in caso di necessità) sono anche quelle, paradossalmente, più tutelate.
La situazione è tanto più significativa soprattutto se si pensa all’andamento degli stipendi italiani fotografato dai dati Eurostat (l’Istituto europeo di statistica). Un italiano guadagna mediamente circa 2.102€ mensili che lo pone a metà classifica rispetto agli altri lavoratori europei (anche se dietro ai lavoratori delle principali economie più avanzate). Tuttavia, l’Italia è l’unico paese europeo dove i lavoratori della fascia d’età 30-49 anni percepiscono uno stipendio più basso della media nazionale (2.067€), a vantaggio degli over 50 che guadagnano circa il 13% in più. Questo dato la dice lunga sulla competitività presente e futura del paese (la fascia d’età 30-49 anni è quella dove generalmente si inizia a formare una famiglia e quella dove i lavoratori negli altri paesi europei raggiungono il picco della loro carriera) e dovrebbe essere preso seriamente in considerazione dal Governo e dai partiti politici. Soprattutto in campagna elettorale.
La proposta di Altroconsumo Connect
In questo contesto, emergono i dati di AIRC: 377.000 persone ogni anno in Italia ricevono una diagnosi di tumore. AC Connect, il broker della fondazione Altroconsumo, ha pensato di offrire a tutti i soci la possibilità di sottoscrivere AXA BeLive polizza cancro, studiata in collaborazione con Neosurance e Axa per stare accanto a chi è costretto ad affrontare questa sfida in maniera concreta, con una serie di servizi esclusivi di assistenza e con un sostegno economico totalmente spendibile come si preferisce, senza alcun vincolo.
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