Caschi Cpap: una valida strategia per affrontare l’emergenza
I caschi Cpap, sistemi di ventilazione assistita non invasiva, sono strategici per la cura dei pazienti colpiti da Covid-19. Hanno il vantaggio di essere efficaci, relativamente semplici da utilizzare e di alleggerire la pressione sulle terapie intensive, al limite delle loro capacità. La Lombardia ne ha acquistati più di duemila con i fondi stanziati dal Governo per la gestione dell’emergenza. Abbiamo chiesto a Giovanni Landoni, dell’unità operativa di anestesia e rianimazione dell’ospedale San Raffaele di Milano, di spiegarci cosa sono e come funzionano.
- di
- Simona Ovadia

L’epidemia Covid-19 sta mettendo a rischio la tenuta del Servizio sanitario nazionale, soprattutto nelle Regioni più colpite, come la Lombardia, dove i posti di terapia intensiva si stanno inesorabilmente riducendo. Per far fronte a questa emergenza, oltre alle misure di contenimento sempre più stringenti, si stanno mettendo a punto alcune strategie sanitarie per alleggerire la pressione sui reparti di cure intensive. Una di queste prevede l’acquisto di un numero ragguardevole di caschi Cpap, sistemi di ventilazione assistita non invasiva che possono essere utilizzati efficacemente anche in reparti diversi. All’inizio dell’emergenza la Lombardia ne aveva soltanto duecento, oggi se ne contano più di duemila, acquistati con i fondi stanziati dal Governo. Abbiamo chiesto di cosa si tratta a Giovanni Landoni, medico anestesista e professore dell'Università Vita-Salute di Milano, autore di una lettera pubblicata sulla rivista scientifica Lancet sui caschi Cpap e la gestione dei pazienti con Covid-19 insieme ai colleghi Alberto Zangrillo, primario di rianimazione dell'ospedale San Raffaele, e Luca Cabrini dell'Università di Varese.
Cosa sono questi caschi e come funzionano?
«Si tratta di caschi collegati a una macchina per la ventilazione. L'aria e l'ossigeno vengono immessi nel casco con una pressione positiva, cosa che aiuta gli alveoli polmonari ad aprirsi e a lavorare meglio. La ventilazione non invasiva viene utilizzata in tutti i pazienti con bronchiti croniche che vengono in ospedale in scompenso, o in chi ha un edema polmonare e fa fatica a respirare perché il cuore non funziona bene, praticamente in qualsiasi forma di insufficienza respiratoria. È una strategia salvavita che gode in letteratura di un alto grado di evidenza, superiore a quello dell'insulina o degli antibiotici, per esempio. Dovrebbero essere messi ai primi posti tra le terapie salvavita: ci sono 24 studi serissimi, fatti in tutto il mondo, che documentano come i malati con gravi crisi respiratorie vivono di più quando sono trattati con questi caschi, sia confrontati con le classiche mascherine per l'ossigeno, sia confrontati con le manovre più invasive, come l'intubazione nella trachea. Dal punto di vista scientifico il livello di evidenze è elevatissimo, dal punto di vista pratico, però, questi sistemi sono ancora poco conosciuti e usati quasi esclusivamente nelle terapie intensive e a casa per sostenere la respirazione dei pazienti che soffrono di apnee notturne (in questo caso però non si usano i caschi ma delle maschere più piccole). C’è una discrepanza notevole tra la bontà di questi presìdi e la loro conoscenza anche a livello della popolazione generale: eppure salvano più vite umane di quanto si possa immaginare».
Come saranno d'aiuto nell'emergenza Covid-19?
«I caschi Cpap sono sistemi piuttosto semplici, soprattutto se paragonati ai sistemi di ventilazione assistita classici, che possono essere utilizzati anche al di fuori delle terapie intensive, per esempio nelle sub intensive e in alcuni reparti, a patto che si faccia un'adeguata formazione al personale ospedaliero. Ciò significa moltiplicare in maniera esponenziale la possibilità di curare in maniera adeguata i pazienti che si presentano in ospedale con grave insufficienza respiratoria. Per quanto riguarda i pazienti con Covid-19, inoltre, il casco garantisce al personale sanitario una buona protezione dal rischio di contagio, perché tra tutti i sistemi di ventilazione assistita è quello che trattiene meglio eventuali nebulizzazioni contaminate».
È favorevole alla decisione della Regione Lombardia di acquistarne una quantità rilevante per fronteggiare l’emergenza?
«Sono favorevolissimo. Gli ospedali attualmente hanno pochi sistemi di ventilazione e pochi caschi. In tempi normali si prediligono maschere e sistemi meno costosi. Ma per fronteggiare Covid-19 questi caschi hanno un ottimo rapporto costo -beneficio: si parla di circa 200 euro per il casco (che è di plastica monouso) e di qualche migliaia di euro per la macchina. In futuro la spesa non sarà stata vana: più si amplierà la conoscenza e l’utilizzo di questi sistemi e più saranno utilizzati in modo precoce, minore sarà la necessità di ricorrere a forme di ventilazione più invasive, costose e intensive».