Per un’Europa a una voce e trainata dal potere delle persone
Perché è importante, per noi europei, gettare il cuore oltre l’ostacolo e trovare un modello di sviluppo nuovo, che parte dalle persone, sfruttandone le potenzialità di consumatori consapevoli, attenti agli impatti sociali delle loro azioni, attivi nel generare essi stessi opportunità di crescita piuttosto che esserne meri protagonisti passivi.

1 - È stato (in qualche modo) avallato all’unanimità il piano di riarmo Europeo.
2 - È stato definito una sorta di “manifesto” EU, firmato da tutti gli stati membri (escludendo esplicitamente il solo Paese non allineato, punto estremamente interessante: il messaggio al leader di quel Paese è: “Noi facciamo così, se non ci stai, pazienza, noi facciamo così lo stesso e poi discutiamo…”) sulla questione Ucraina e costituito da 5 “principi”, che rivendica – tra l’altro – un ruolo centrale dell’Europa nella risoluzione della controversia russo-ucraina. Particolarmente significativo mi sembra, in particolare, uno dei 5 principi, che provo a trascrivere qui: “Non ci possono essere negoziati che incidano sulla sicurezza europea senza il coinvolgimento dell’Europa poiché la sicurezza dell’Ucraina, dell’Europa, transatlantica e globale sono intrecciate”. Non so quanto voluto, ma, per come è scritto, sembra che questo principio tenda a partire specificamente dalla questione Ucraina per sancire un punto più generale: l’Europa unita è un soggetto politico dal quale non si può prescindere nell’affrontare questioni globali.
Il combinato disposto dei due punti sopra citati mi fa dire che siamo sulla strada giusta, nel senso che finalmente, come ha chiesto Draghi al Parlamento Europeo, chi ci governa ha deciso di “fare qualcosa”. Sembra si sia capito che l’unione fa la forza, ossia che dare una risposta Europea unitaria ai problemi del mondo sia ormai una strada imprescindibile. Certo, è un peccato che ci stiamo ponendo il problema di creare una difesa e una politica estera comuni con 35 anni di ritardo (avremmo dovuto iniziare agli inizi degli anni 90, approfittando della disgregazione dell’Unione Sovietica e della riunificazione della Germania): ma meglio tardi che mai.
Politica estera e difesa hanno come pilastri tre poteri fondamentali: potere militare, potere demografico, potere economico. Per quanto riguarda il primo, non siamo proprio messi benissimo (abbiamo appena deciso di lavorarci, almeno così sembra), ma su secondo e terzo abbiamo una situazione di tutto rispetto. L’Unione Europea conta più di 450 milioni di abitanti (più del 5% della popolazione mondiale), a fronte dei poco più dei 350 milioni degli Stati Uniti e dei 145 milioni circa della Russia (certo, Cina e India sono inarrivabili); inoltre, giocando un po’ con i dati riportati dal Global Wealth Report 2024 realizzato da Ubs, si evince che la sola Europa Occidentale detiene più o meno il 22% della ricchezza mondiale, un valore paragonabile alla Cina e secondo solo al Nord America. In sostanza, l’Europa è un mercato interessante e ricco, ergo: abbiamo ancora un discreto potere economico e un non trascurabile potere demografico. Tutto sta a costruire difesa e politica estera comuni utilizzando questi due baluardi in maniera intelligente: noi europei siamo sempre stati all’avanguardia nell’innovare, sia sul piano speculativo che sul piano tecnologico.
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Sul piano speculativo
La tradizione che parte dal classicismo greco-latino, passa per il Rinascimento italiano, e arriva all’Illuminismo francese (e in parte anche a quello inglese) ci ha permesso di definire quei valori libertà e uguaglianza alla base del modello liberal-democratico che, tra alti e bassi, ha consentito lo sviluppo in Occidente (a cominciare dagli Stati Uniti) di sistemi sociali, politici ed economici in cui le persone hanno visto mediamente un miglioramento delle loro condizioni di vita.
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Sul piano tecnologico
La gran parte delle innovazioni che vengono definite come epocali, almeno fino alla metà del ‘900, sono nate in Europa, a partire dall’invenzione della stampa a caratteri mobili (che ha dato impulso a una vera e propria rivoluzione tecnologica) per giungere alle invenzioni della macchina a vapore, del motore a scoppio, delle comunicazioni senza fili, della distribuzione elettrica a corrente alternata – tutte innovazioni che hanno velocizzato esponenzialmente lo sviluppo economico capitalistico.
Ecco, noi europei dovremmo ritrovare quello spirito di innovazione morale, sociale, intellettuale, tecnologica, adattandolo ai tempi. Dobbiamo gettare il cuore oltre l’ostacolo e trovare un modello di sviluppo nuovo che parte dalle persone, sfruttandone le potenzialità di consumatori consapevoli, attenti agli impatti sociali delle loro azioni, attivi nel generare essi stessi opportunità di crescita piuttosto che esserne meri protagonisti passivi. E per fare questo non serve l’approccio tecno-dirigista che la UE ha avuto negli ultimi 20 anni: serve regolare di meno ma regolare meglio. È necessario dare gli strumenti alle persone per proteggersi, non proteggerle per legge fissando norme e regole che ingessino i mercati. Serve investire in ricerca per tornare a essere i pionieri dei modelli di sviluppo. E, soprattutto, serve fare sentire italiani, francesi, tedeschi, spagnoli, polacchi, belgi e così via (speriamo di potere fare rientrare un giorno anche i britannici) parte di un progetto più grande: serve creare i valori europei – sulla base dei quali creare senso di appartenenza e una coscienza europea – dei quali tutti noi sentiamo davvero un gran bisogno.