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Prezzi dei farmaci poco trasparenti

I prezzi e le condizioni di vendita allo Stato di farmaci di nuova generazione sono poco trasparenti. Spesso non conosciamo i veri costi di sviluppo dei medicinali e neppure quanto le case farmaceutiche li fanno pagare alla collettività. Una scarsa trasparenza che non fa certo gli interessi del cittadino e che porta la spesa pubblica a livelli spesso insostenibili. Altroconsumo chiede più trasparenza, prezzi più giusti per i farmaci, affinché il cittadino non si trovi a pagare troppo cara la propria salute.

02 marzo 2021
farmaci e soldi

Il prezzo dei farmaci di nuova immissione sul mercato non è quasi mai un dato chiaro e trasparente. Spesso noi cittadini dobbiamo attendere che trapelino informazioni o che i contratti vengano parzialmente pubblicati con omissis però su cifre e contiE vale nel nostro paese così come negli altri paesi europei. Dati che, quando vengono portati alla luce, lasciano spesso stupiti sulle cifre pagate dallo Stato.  

Il giusto prezzo? Impossibile senza informazioni

Ma come si stabilisce il prezzo di un nuovo farmaco da mettere in comemrcio? In Italia come in Europa, sono gli enti regolatori, come l’agenzia italiana del farmaco (AIFA), che si siedono al tavolo con le aziende farmaceutiche per stabilire il prezzo di un farmaco di nuova generazione. Purtroppo però in quel momento non hanno tutte le informazioni necessarie per stabilire se il prezzo richiesto dall'azienda sia un giusto prezzo

Ma cosa si intende pert giusto prezzo? Si intende un prezzo che tenga conto del valore terapeutico del farmaco e che consenta alle aziende di recuperare gli investimenti in ricerca e sviluppo e di generare un profitto, ma non eccessivo al punto da diventare insostenibile per il servizio sanitario e un ostacolo all’accesso alle cure per il cittadino. 

Per fare questa valutazioni, servirebbero informazioni che al momento le agenzie del farmaco europee non sempre hanno. Ad esempio, non sanno quanto gli altri paesi europei pagano per i farmaci di nuova immissione in commercio. Questo accade perché di norma le negoziazioni tra enti regolatori e aziende farmaceutiche sono ritenute confidenziali.

La scarsa trasparenza sui prezzi

Il risultato è che i cittadini e gli stessi operatori sanitari non conoscono il prezzo reale dei nuovi farmaci, cioè la cifra effettivamente pagata dallo Stato al netto di eventuali sconti, di accordi sui volumi d’acquisto o altri schemi legati alla performance del nuovo trattamento. Si conoscono solo i prezzi massimi, che possono essere notevolmente più alti del vero prezzo pagato. 

Senza alcun riferimento trasparente di prezzo, è facile per le aziende impostare le trattative su di un prezzo di partenza molto elevato, strappando alla fine un prezzo comunque molto alto, facendo credere alle singole agenzie regolatorie di aver spuntato il miglior accordo. 

Anche agli investimenti in ricerca e sviluppo fatti dalle aziende per portare il nuovo trattamento sul mercato non sono definiti con chiarezza. Le aziende non li svelano, né sono tenute a fornirle alle agenzie regolatorie. Esistono delle stime di quanto costi sviluppare un nuovo farmaco, ma oltre a non essere pienamente trasparenti nel modo in cui vengono realizzate, sono di solito commissionate dall’industria e si rivelano sovrastime utili a giustificare il prezzo alto dell’innovazione. Una storia che, come abbiamo già visto anche nel nostro dossier dedicato al costo eccessivo dei farmaci innovativi, lascia molti dubbi.

Ricerca: fatta spesso anche coi soldi pubblici

Per ultimo, non si hanno informazioni chiare e complete neppure su quanto un nuovo farmaco abbia beneficiato del contributo della ricerca pubblica o di investimenti e incentivi pubblici. Un ruolo spesso minimizzato, ma fondamentale allo sviluppo di qualunque farmaco, sia i singoli paesi, sia  l’Unione Europea finanziano direttamente numerosi progetti di ricerca, poichè l'investimento “Pubblico” rimane il finanziatore principale della ricerca di base, da cui parte qualunque altro stadio dello sviluppo di un farmaco. Senza dimenticare che l’industria farmaceutica beneficia di numerosi sgravi fiscali sulle spese sostenute per gli studi clinici richiesti dalle agenzie regolatorie del farmaco per l’autorizzazione dei nuovi medicinali, un incentivo governativo pensato per stimolare proprio la ricerca, ma che proviene sempre dalle nostre tasche. 

Risultato? Prezzi non più sostenibili

In assenza di trasparenza su tutti questi aspetti, non è semplice per gli enti regolatori stabilire quali e quanti investimenti siano stati realmente messi in campo dalle aziende e decidere quanto remunerare lo sforzo di innovazione. Il risultato di queste trattative è che si finisce per cedere al prezzo proposto dalle aziende, a discapito della sostenibilità del servizio sanitario e delle tasche dei cittadini che lo finanziano. 

I prezzi richiesti e ottenuti dalle aziende sono infatti sempre più slegati da riferimenti reali (come i costi di ricerca e sviluppo o di produzione) o dal valore terapeutico aggiunto del medicinale e sempre più simili, nei livelli e nel modo in cui vengono stabiliti, a quelli di beni di lusso.

Terapie innovative anticancro hanno ormai prezzi dell’ordine di grandezza di decine o centinaia di migliaia di euro per anno di trattamento, a prescindere dal livello di efficacia. Le nuove terapie geniche per malattie rare possono arrivare a costare alcuni milioni di euro per il trattamento di un singolo paziente. L’effetto di tutto ciò lo vediamo di anno in anno, non solo in Italia, ma anche in altri paesi europei, cioè una spesa per i farmaci in costante crescita, soprattutto quella che riguarda i farmaci ad uso ospedaliero (che è raddoppiata nell’arco degli ultimi 10 anni), quelli per le malattie oncologiche e quelle rare e quella relativa ai farmaci cosiddetti innovativi in generale, le aree dove i prezzi dei farmaci hanno raggiunto livelli davvero preoccupanti

A rischio l'accesso alle cure

Il rischio concreto di questo meccanismo è che l’accesso dei cittadini alle cure sia ritardato o razionato, come è già successo nel caso dei farmaci per l’epatite C, che ha visto molti cittadini costretti a pagare di tasca propria le cure per poter accedere al trattamento, sborsando anche cifre importanti, o a cercare cure low cost in India o in Egitto per non dover aspettare di peggiorare la propria situazione di salute per avere la cura.

Oppure, per costi troppo elevati da sostenere da un momento all’altro, si possono creare lunghe liste d'attesa, come è successo ai malati di maculopatia quando dal più economico Avastin si dovette passare a usare il nuovo – e venti volte più costoso – Lucentis. Ma anche quando un medicinale viene incluso tra i farmaci rimborsati, la spesa va a pesare sulle solite risicate risorse destinate alla sanità pubblica, con l’effetto di erodere l’offerta di servizi e prestazioni sanitarie altrettanto utili, se non di più, in ambiti spesso cronicamente carenti o in difficoltà, come l’assistenza alla disabilità o più banalmente il contenimento delle liste d’attesa per visite specialistiche ed esami diagnostici. Ed è per questo che il problema riguarda tutti noi. 

I cittadini pagano i farmaci due volte

La realtà è questa: paghiamo due volte per le nostre medicine. La prima volta con le tasse finanziamo la ricerca biomedica che sta alla base dello sviluppo di qualunque farmaco e che le aziende utilizzano per sviluppare i propri farmaci. La seconda volta quando sempre con le tasse finanziamo l’acquisto di questi farmaci. 

Ovviamente, questa è una semplificazione di un processo complesso, ma è importate ricordare che il peso della ricerca farmacologica non grava sulle sole spalle dell’industria

La maggior parte degli studi e delle scoperte sui processi sottostanti le malattie che affliggono l’uomo, specialmente quelle rare, e dei meccanismi bersaglio per sconfiggerle, arrivano dalla ricerca di base finanziata da enti pubblici, condotta nelle università e quindi sostenuta dalla fiscalità generale. Oppure dalle donazioni di privati cittadini a organizzazioni come l’AIRC o Telethon

Tutta la ricerca accademica condotta nelle nostre università finisce nelle compresse e nelle fiale prezzate migliaia di euro a dose. Ma questo contributo pubblico non viene riconosciuto al momento di fissare un prezzo di rimborso, come se tutti gli sforzi fossero sulle spalle delle aziende. E così i pazienti finiscono per pagare i farmaci due volte. Per di più, le aziende possono contare su vantaggi fiscali sostanziali nei paesi in cui investono in ricerca. Una ricerca che ha poi effetti – e guadagni - globali. 

Cinque punti per avere prezzi più giusti

Per avere farmaci a prezzi più giusti e sostenibili è necessario che alcuni meccanismi cambino. Abbiamo individuato, assieme ai colleghi delle altre organizzazioni europee, cinque azioni (che sono anche cinque richieste) per rendere più trasparente questo processo e poter avere finalmente una spesa sanitaria più sostenibile per la comunità.

  • Trasparenza su prezzo e rimborso dei farmaci. I cittadini devono avere accesso chiaro e puntuale alle informazioni sul prezzo dei farmaci rimborsati dal servizio sanitari e quindi pagati con denaro pubblico. Una misura che i governi devono attuare non solo per responsabilità ma anche perché la trasparenza è indispensabile per stimolare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni. Il prezzo non è l’unico elemento: serve anche trasparenza sulle ragioni che sottendono la decisione di erogare un farmaco a carico del SSN. Tutto questo dovrebbe essere reso pubblico e facilmente accessibile ai cittadini.
  • Trasparenza sui costi di ricerca e sviluppo sostenuti delle aziende. In questo modo le agenzie del farmaco avranno maggior potere per stabilire prezzi più giusti nelle trattative con l’industria. Per avere maggiore trasparenza, serve una legge che in tutti i paesi europei richieda alle aziende farmaceutiche di fornire informazioni dettagliate sui costi di ricerca e sviluppo sostenuti, da fornire durante le contrattazioni. La normativa italiana ha solo di recente introdotto questo elemento nella negoziazione con le aziende, ma solo in casi specifici, non prevedendolo per tutti i farmaci per cui si negozia il rimborso.
  • Trasparenza sul contributo pubblico. Servono informazioni pubbliche dettagliate sui finanziamenti pubblici e gli incentivi dati alle aziende. Solo in questo modo sarà possibile riconoscere a pieno il contributo dei cittadini allo sviluppo del farmaco. Oggi, la norma italiana obbliga le aziende in sede di contrattazione con AIFA a fornire un’autocertificazione su questi aspetti. Un database pubblico con questi informazioni sarebbe invece lo strumento ideale per tracciare al meglio l’impegno del settore pubblico allo sviluppo dei farmaci.
  • Condivisione a livello europeo delle informazioni sui prezzi dei farmaci. Gli stati europei dovrebbero stabilire per legge la possibilità che le agenzie del farmaco nazionali o gli eventuali enti preposti, possano condividere le informazioni sul prezzo reale dei farmaci, quello a cui si arriva al netto di sconti e di eventuali altre contrattazioni. Questo permetterà alle singole agenzie di ottenere condizioni e prezzi più giusti. Per ottenere ciò, gli Stati devono abolire le clausole di segretezza previste di norma dalle contrattazioni con le aziende farmaceutiche e l’Europa deve supportare i progetti europei già esistenti per lo scambio di queste informazioni.
  • Maggiore collaborazione tra paesi e agenzie del farmaco. I paesi europei devono collaborare maggiormente, non solo scambiando informazioni, ma promuovendo una rete permanente tra le agenzie del farmaco, che diffonda le migliori prassi per la contrattazione del prezzo con le aziende. Vanno inoltre promosse tutte le attività congiunte di negoziazione del prezzo e approvvigionamento dei farmaci, fatte cioè da più paesi insieme, così come già accade tra alcun stati europei e così come è accaduto per l’acquisto dei vaccini per il covid. Questo permette ai Paesi non solo di condividere le informazioni, ma soprattutto di avere un maggior potere contrattuale nelle trattative con l’industria.