Rete unica Tim-Open Fiber, è in gioco la concorrenza
È più che condivisibile la scelta di procedere con una rete ultraveloce, che accorci il divario tecnologico tra le diverse aree del paese. Ma il modo in cui si sta profilando l’operazione non è privo di rischi. A rimetterci non devono essere i cittadini. Per questo motivo abbiamo scritto alla Commissione europea per chiedere di utilizzare i propri poteri antitrust per assicurare che la rete unica operi in modo neutrale e non discriminatorio.
- di
- Matteo Metta

La pandemia da coronavirus, i mesi di lockdown e il lavoro da remoto hanno drammaticamente messo in luce differenze di connettività tra piccoli e grandi centri urbani, e tra Nord e Sud nel nostro paese. Cittadini e imprese che vivono e operano in aree non coperte da infrastrutture in fibra sono ingiustamente penalizzati nell’accesso ai servizi digitali. Per favorire lo sviluppo della connessione ultraveloce in fibra, dare una spinta alla digitalizzazione dell’Italia e risolvere i divari territoriali in tempi brevi (ci vorranno comunque diversi anni) occorrono investimenti poderosi. Le posizioni da scalare sono moltissime, dato che l’Italia è la terza potenza economica nell’Ue, ma è terz’ultima in trasformazione digitale. Difficile che possano riuscirci autonomamente i detentori delle due principali infrastrutture che garantiscono oggi l'accesso a internet da rete fissa nel nostro paese, cioè Tim e Open Fiber. Tim, oberata da miliardi di debiti, fatica a investire e a tenere il passo con l’innovazione. E Open Fiber, società a controllo statale (detenuta al 50% da Cassa depositi e prestiti e al 50% da Enel), è in grave ritardo nel suo piano di cablaggio su scala nazionale, soprattutto perché a lei tocca anche il compito di portare la fibra nelle aree svantaggiate, quei comuni in cui gli operatori non hanno interesse a investire perché i guadagni non coprirebbero i costi per lo scavo e la posa delle linee (e per questo chiamate zone a fallimento di mercato).
Armonizzare due reti diverse
Da qui la risoluzione del governo che ha rispolverato una vecchia idea che circola almeno da un ventennio, cioè creare una rete unica a livello nazionale, una rete ultraveloce ovunque. Come? Mettendo insieme la rete di Open Fiber e quella di Tim (che dovrà scorporare l’infrastruttura dai servizi). Va detto che la rete di Tim e quella di Open Fiber, pur essendo entrambe a banda larga, non sono affatto assimilabili. Tim ha un’architettura di rete (detta Fttc) che è in fibra solo dalle centrali fino agli “armadietti” su strada, mentre nell’ultimo tratto - dagli armadietti alle case degli utenti - è invece in rame. Si tratta di una infrastruttura ormai datata, che dovrà essere aggiornata sostituendo il tratto in rame con la fibra. Open Fiber ha scelto un’architettura di rete Ftth, cioè una linea completamente in fibra fino a casa.
Cassa depositi e prestiti sarà in minoranza
A gestire la rete integrata dovrà per forza di cose essere una società di nuova costituzione sui cui assetti azionari e governance continuano a rincorrersi ipotesi. E molta acqua passerà sotto i ponti da qui al primo trimestre del 2021, quando nascerà la vera e propria rete unica. Finora in un memorandum sono stati fissati solo i principi. Si sa che l'azionariato sarà composito (oltre a Tim e Cdp, ci saranno anche il fondo d'investimento americano, Kkr, e in misura minore Fastweb e Tiscali). Ma ciò vale la pena sottolineare è che la Cassa depositi e prestiti (Cdp) - custode in teoria dell’interesse pubblico - sarà in minoranza, perché è a Tim che andrà la maggioranza della società mista pubblico-privato della rete unica. Con una formula ibrida, però. A Tim, che ricordiamo è a sua volta controllata dalla francese Vivendi, spetterà la scelta dell’amministratore delegato, ma non la maggioranza del consiglio di amministrazione.
Tim, troppe parti in commedia
C’è di più. Avere un’infrastruttura nazionale unica per le connessioni fisse che fa capo a un soggetto che come Tim non è un operatore di rete “puro”, ma ha altri interessi sul mercato, espone a diversi rischi. Con Tim in qualità di azionista di controllo della nuova società (con il 50,1% delle azioni, come è stato per ora previsto) si va incontro a una concentrazione di potere di mercato: Tim, oltre a svolgere un ruolo attivo nella gestione della rete unica, continuerebbe a offrire servizi anche ai consumatori, in concorrenza con gli altri operatori. Cioè gli stessi operatori che avranno bisogno di utilizzare la rete unica per offrire servizi di connessione ai propri clienti. Tim sarebbe nella posizione di poter imporre condizioni meno vantaggiose e costi più alti ai suoi competitori, che gioco forza dovranno poi essere recuperati dagli operatori aumentando le tariffe a carico degli utenti finali. Si tratta di un’operazione ad alto rischio, che, seppur realizzata con l’intento di avvantaggiare la collettività, potrebbe allo stesso tempo danneggiarla.
Rischi per la concorrenza
Quando non sono assicurate terzietà e indipendenza si possono più facilmente verificare distorsioni nelle dinamiche concorrenziali, e non è detto che per sventarle basti un’attività di controllo più stringente da parte delle autorità regolatorie e di vigilanza. Per questo la Commissione europea ha già acceso un faro sull'operazione rete unica. Ci sono in gioco soldi pubblici, tra cui le risorse derivanti dal Recovery Fund, e va verificato che questo intervento non si configuri come aiuto pubblico illegale in favore di Tim. Del resto, in tempi non sospetti, Antitrust e Agcom lo hanno scritto a chiare lettere in un comunicato congiunto (datato 8 novembre 2014) uscito a conclusione dell'indagine sulla banda larga e ultralarga: «La realizzazione di un assetto di mercato caratterizzato dall’esistenza di un operatore di rete “puro”, non verticalmente integrato nella fornitura di servizi agli utenti finali, costituisce evidentemente lo scenario “ideale” sotto il profilo concorrenziale e più “lineare” dal punto di vista della regolamentazione». In pratica un operatore cosiddetto “wholesale only”, come previsto dalle norme europee, cioè un operatore che gestisce la rete senza vendere servizi agli utenti finali, in modo da garantire neutralità, indipendenza e apertura alla concorrenza. Nell’evidenziare l’optimum, le due Autorità riconoscono realisticamente che si tratta di uno scenario di assai difficile realizzazione concreta» e non esitano a indicare quale sarebbe l’alternativa migliore, cioè quella in cui si sviluppano forme di co-investimento tra una pluralità di operatori, eventualmente anche attraverso la costituzione di joint venture. Non proprio la direzione scelta dal governo e dagli altri attori della vicenda “rete unica”, che si sono avventurati proprio verso lo scenario più irto di pericoli. Quello per il quale Antitrust e l’Agcom avvertono: nel caso in cui la struttura di mercato venisse a riorganizzarsi solo sulla figura dell’operatore dominante verticalmente integrato, implicherebbe - al contrario - uno scrutinio particolarmente attento sia sotto il profilo antitrust, sia in relazione alla sua disciplina regolamentare». Ammesso che questo basti, aggiungiamo noi. In sintesi, sì allo sviluppo e alla modernizzazione della rete, purché tutta in Ftth; la linea in rame dovrà essere definitamente dismessa. No a un’operazione pasticciata per rifinanziare con fondi pubblici reti e strutture in parte obsolete. Barra dritta sulla concorrenza, in modo da evitare che i costi siano scaricati sulle tariffe e quindi sui consumatori.
- Abbiamo scritto alla Commissione europea per chiedere di utilizzare i propri poteri antitrust per assicurare che la rete unica operi in modo neutrale e non discriminatorio.
«Altroconsumo si impegna sin d’ora a monitorare il processo di creazione della società della rete unica e della regolamentazione settoriale che dovrà garantirne il funzionamento» conclude Ivo Tarantino, responsabile relazioni esterne di Altroconsumo. «E interverrà ogniqualvolta sarà necessario per scongiurare la creazione di nuovi eventuali monopoli e ogni altro impatto negativo sulle dinamiche concorrenziali e sui diritti e gli interessi di cittadini e consumatori. Lanciamo una sfida alle istituzioni e alle aziende coinvolte: se questo progetto ha davvero a cuore gli interessi dei cittadini e vuole accompagnare l'Italia nel futuro, apriamo il CDA della newco e prevediamo un membro indipendente in rappresentanza dei cittadini».